Uomo controcorrente - antifascista durante il fascismo (fu tra i pochissimi a rifiutare la tessera del Pnf e per questo perse il ruolo di segretario della Normale di Pisa), antiautoritario al tempo dell’autoritarismo, eretico per la chiesa del potere e politico senza tessera - Capitini dedicherà la sua vita al tema della non violenza e dell’obiezione di coscienza collaborando con intellettuali impegnati sullo stesso fronte quali Danilo Dolci e Don Milani e fondando il Movimento Nonviolento e il Centro di coordinamento per la nonviolenza.

La prima marcia

Nel settembre 1961 darà vita alla prima marcia per la pace e la fratellanza dei popoli di ventiquattro chilometri fra Perugia e Assisi.

“Questa marcia - dirà a commento dell’iniziativa - era necessaria e altre marce saranno necessarie nel nostro e negli altri paesi, per porre fine ai pericoli della guerra, per liberare i popoli dai mali dell’imperialismo, del colonialismo, del razzismo, dello sfruttamento economico. (...) Aver mostrato che il pacifismo, che la non violenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle non collaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della marcia”.

In cammino quel giorno, scrive Gianni Rodari:

C’è gente d’ogni condizione sociale; il deputato cammina fianco a fianco al mezzadro, lo scrittore famoso accanto al professionista, al contadino umbro, allo studente romano. Delegazioni sono giunte da Cosenza, da Messina, da Palermo, da Trento, da Pescara, da Torino, da Genova, da Milano, da Taranto. Professori universitari, artisti, dirigenti sindacali si mescolano alle famiglie venute al completo, con la borsa per la merenda, alle ragazze in costume, agli sportivi. Vedremo apparire un grande ritratto di Lumumba, l’eroe dell’indipendenza congolese, tra quello di Dag Hammarskjold e quello di Gandhi, l’apostolo della nonviolenza. Dietro gli stessi cartelli, con lo stesso passo sostenuto e pieno d’ottimismo, camminano i rappresentanti di un gruppo teosofico e quelli degli esperantisti, gli obiettori di coscienza e gli invalidi di guerra, operai di fabbrica e mutilati (…) Il cielo umbro risponde con un azzurro sorriso. Due giovani e già famosi scrittori, Italo Calvino e Giovanni Arpino, aprono il corteo reggendo lo striscione che reca la scritta: Marcia della Pace e della Fratellanza. Il corteo si snoda di colle in colle come un discorso nel quale confluiscano argomenti diversi (…) Così sarà, del resto, se vorremo la pace: essa potrà essere soltanto la somma e la moltiplicazione di volontà diverse, e non già il frutto uniforme dell’imposizione di una sola volontà sulle altre (…) Le bandiere hanno il colore dell’arcobaleno, ma il richiamo alla natura ha un suo significato speciale: l’arcobaleno, questa volta, lo vogliamo prima della tempesta, non dopo. La pace deve precedere, impedire la guerra, per non essere soltanto un doloroso bilancio di rovine.

Se vogliamo la pace...

“I bambini giocano alla guerra - scriveva Bertold Brecht - È raro che giochino alla pace perché gli adulti da sempre fanno la guerra”.

“Evitare i conflitti - affermava Maria Montessori - è opera della politica: costruire la pace è opera dell’educazione (…) l’educazione è l’arma della pace (…) Occorre organizzare la pace, preparandola scientificamente attraverso l’educazione”.

Se vuoi la pace - ci ricordava Enrico Berlinguer - prepara la guerra, dicevano certi antenati. E invece io la penso come i pacifisti di tutto il mondo di oggi: Se vuoi la pace, prepara la pace”.

Prepariamo la pace. Educhiamo alla pace. Giochiamo alla pace. Anche oggi. Soprattutto oggi.