Anche quest’anno i rappresentanti di quasi 200 Paesi si sono incontrati in occasione della Cop30 e stanno discutendo di obiettivi, priorità e finanziamenti per affrontare la crisi climatica. Il luogo scelto per ospitare la trentesima Conferenza delle parti è Belém, una città brasiliana di 1,4 milioni di abitanti situata nel cuore della foresta amazzonica.

Se, da un lato, discutere di accordi climatici in un luogo così emblematico dà l’occasione alle comunità indigene locali di portare la propria voce all’interno dei negoziati, dall’altro, vi sono importanti contraddizioni, come il Tropical forest forever facility (Tfff), proposta presentata proprio dal presidente del Brasile Lula e contestata duramente dalla società civile.

Il Tfff è un fondo pensato per la tutela delle foreste tropicali, cui Stati e comunità possono accedere se limitano il tasso di deforestazione dei loro territori attraverso progetti e iniziative. Le controversie di questa proposta risiedono nell’obbligo per gli Stati di restituire i fondi prelevati con elevati tassi di interesse, compromettendo così la possibilità delle comunità locali di beneficiare realmente dei fondi e di intervenire concretamente sui loro territori.

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Nella giornata di lunedì 10, inoltre, i negoziati si sono aperti con una critica da parte dei Paesi “Most affected people and areas” (Mapa) alla mancanza di ambiziosità degli Ndc (Nationality determined contributions) dei Paesi Occidentali.

Secondo il principio delle responsabilità condivise ma differenziate, i Paesi maggiormente responsabili della crisi climatica dovrebbero investire in maniera adeguata nel taglio delle emissioni e nel risarcimento alle popolazioni Mapa. Tuttavia questo principio non è rispettato e la questione ambientale rischia di essere un ennesimo pretesto per Paesi Occidentali di ottenere profitto.

In questa Cop, infatti, si deciderà se aumentare il “New collective quantified goal” (Ncqg) di ulteriori 1,3 trilioni di dollari all’anno a favore dei Paesi Mapa, ma a contribuire a questa parte di fondo saranno anche aziende e privati. Il rischio è che i Paesi che riceveranno i prestiti non riusciranno a intervenire concretamente sui loro problemi territoriali, perché costretti a ripagare i tassi d’interesse dei creditori.

A mettere in luce queste contraddizioni è anche la società civile, che ha di nuovo la possibilità di organizzarsi e scendere in piazza a manifestare e portare le proprie proposte dopo anni di Cop ospitate da Paesi che vietavano ogni forma di protesta.

Proprio in questi giorni, infatti, 20 mila persone stanno prendendo parte alla Cupula dos Povos, una contro-Cop che presenterà le proprie soluzioni per arginare la crisi climatica a partire dai territori, e che marcerà a Belém il 15 novembre. Il confronto delle popolazioni è vario e strutturato. Le tematiche trattate sono la transizione giusta ed equa, la parità di genere e la tutela dei territori.

In un momento storico in cui si è superato il primo tipping point climatico, che porterà al collasso delle barriere coralline, e a dieci anni dagli Accordi di Parigi, in questa Cop, più che in qualunque altra, si deciderà il futuro dell’umanità e del pianeta. Per questo l’attenzione mondiale è rivolta verso quello che accade a Belém, come dimostra anche la mobilitazione globale del 14 novembre lanciata da Fridays for future.

Simona di Viesti è attivista Fridays for future