Recentemente gli istituti statistici nazionale ed europeo hanno diffuso cifre interessanti sulla salute dell'economia e sullo stato dell'occupazione nel nostro paese. L'Eurostat, ad esempio, afferma che la crisi in Italia ha allargato la forbice sociale: al 10% più povero in Italia arriva solo l'1,8% dei redditi complessivi, mentre all'inizio della crisi eravamo a quota 2,6%. Il Belpaese, tra l'altro, è oggi il penultimo per occupazione in Europa. Di peggio fa solo la Grecia. “Sono dati che fotografano con nitidezza la condizione sociale ed economica di un'economia che sull'occupazione è ancora in grave ritardo rispetto al resto d'Europa. E che pur avendo agganciato la ripresa, e registrando qualche dato timidamente positivo, sull'occupazione mantiene comunque un forte gap da recuperare”. A dirlo, ai microfoni di RadioArticolo1, è Tania Scacchetti, segretario confederale della Cgil.

“È evidente quindi che la ripresa da noi porta con sé un incremento delle differenze e delle disuguaglianze, anche di carattere territoriale – ha continuato Scacchetti –. Per questo ogni intervento che la politica deciderà di mettere in campo deve certo partire dagli investimenti e dalla necessità di creare nuova occupazione, ma deve necessariamente prevedere anche degli interventi per ridurre queste disuguaglianze sociali”.

Creare occupazione, quindi, ma soprattutto creare buona occupazione, che sia stabile e che permetta un reddito dignitoso. Uno dei problemi da affrontare è infatti la qualità del lavoro, che in Italia è soprattutto precario, frammentato e povero. “Lo diciamo da mesi – afferma il segretario confederale Cgil –. Bisogna ragionare sul tipo di occupazione che si crea. Recenti dati Istat ci hanno offerto un primo dato positivo, con una piccola e timida ripresa della trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Questo significa che la parte del paese che si è agganciata alla ripresa sta guadagnando fiducia, e scommette sulla qualità dell'occupazione. Ma c'è un'altra faccia della medaglia: ancora oggi la maggior parte dei nuovi rapporti di lavoro sono a tempo determinato o con forme ancora più precarie. C'è una ripresa fortissima dei contratti di somministrazione e del lavoro a ore. Questo intacca la condizione economica delle famiglie e quindi s'incrocia con la questione salariale e con il tema della povertà, assoluta e relativa, che investono il nostro paese”.

Accanto ad alcuni dati timidamente positivi, infatti, ci sono segnali preoccupanti, come la ripresa della disoccupazione, soprattutto di quella giovanile. E, secondo Scacchetti, non è un caso: “Le politiche messe in atto finora stanno penalizzando principalmente questa categoria di lavoratori. La ripresa occupazionale è determinata per lo più dalla riforma delle pensioni, che ha visto l'allungamento dell'età pensionabile e ha premiato soprattutto gli over 50. Bisogna invece generare occupazione per i giovani”.

Su questo tema la Cgil ha delle proposte chiare. “Abbiamo un Piano straordinario per l'occupazione giovanile e femminile sul quale forse varrebbe la pena ragionare come sistema paese. Perché in Italia è in atto un circolo non virtuoso, per cui la bassa qualità delle proposte contrattuali genera e autoalimenta un circuito che è fatto anche di basse competenze e incapacità delle imprese nell'investire in ricerca. Per fermare questa rincorsa al ribasso bisogna mettere al centro gli investimenti e la qualità dell'occupazione, e vederla come motore di crescita e sviluppo. Solo così si può risolvere la questione salariale e quella della redistribuzione delle ricchezze nel nostro paese”.