La Corte di Cassazione ha ordinato la reintegra di Pasquale Faillaci, artista del coro del Teatro dell'Opera di Roma licenziato nel 2014. La Consulta, infatti, ha confermato con una sentenza la decisione della Corte di appello che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento e ordinato il ritorno sul luogo di lavoro. Così, in una nota, la Slc Cgil di Roma e del Lazio. All'epoca dei fatti l'artista era delegato Rsa proprio per il sindacato.

Si è conclusa così una vicenda giudiziaria che ebbe larga eco sui mezzi d’informazione, spiega la Slc, "per l'accusa infamante mossa a Faillaci di aver realizzato una truffa attraverso una timbratura falsa, nonché di aver criticato in un'intervista a un giornale il comportamento aziendale. All'epoca dei fatti evidentemente tornava utile veicolare una certa idea di quanto avveniva al Costanzo. Rimane invece ancora aperto un procedimento penale a carico del sovrintendente, per diffamazione a mezzo stampa commessa ai danni di Faillaci per un'intervista successivamente concessa a una televisione".

L'organizzazione di Roma e Lazio, all'epoca dei fatti, "aveva pubblicamente stigmatizzato tale decisione per la sua chiara matrice antisindacale. Il giudizio che possiamo dare oggi, a conclusione dell’iter processuale, rafforza la nostra posizione di difesa in favore di Pasquale Faillaci e mostra in tutta la sua gravità la decisione presa all’epoca dalla fondazione e dalla sovrintendenza (per altro, a quanto ci risulta, altri due licenziamenti decisi da questa gestione si sono conclusi o con una onerosa transazione a favore del lavoratore, con conseguente cospicuo aggravio dei costi per il Teatro, o con una reintegra piena)".

La sentenza, insomma, "smentisce la narrazione che la sovrintendenza ha propagandato in questi anni dei lavoratori dell'Opera di Roma e dei loro rappresentanti. Ci adopereremo affinché gli organi d’informazione diano oggi la stessa visibilità che diedero allora alla versione della sovrintendenza alla definitiva sentenza della Cassazione. Questo per riabilitare definitamente e pubblicamente una persona accusata ingiustamente e che ha pagato a caro prezzo solamente per aver espresso il proprio sacrosanto diritto di discutere e criticare le decisioni del proprio datore di lavoro". Per il sindacato, in definitiva, "c'è un giudice a Berlino e, fortunatamente, continua a giudicare i fatti sul merito e non sugli articoli agiografici, peraltro sempre meno frequenti per la verità, di parte della stampa".

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