I patronati non ci stanno: la legge di Stabilità, che si avvia ad essere discussa alla Camera, se non venisse modificata, si tradurrebbe in un duro attacco ai diritti di tutti cittadini, non solo lavoratori e pensionati. L’atto di accusa è rivolto da Acli, Inas, Inca e Ital contro la norma che prevede una riduzione consistente delle risorse destinate alla tutela individuale, che è garantita dal sistema patronati, in virtù di una legge dello Stato (n.152/2001), nel rispetto dell’articolo 38 della costituzione.

La mobilitazione nazionale promossa il 15 novembre scorso dal Ce.Pa. (il coordinamento che raggruppa i Patronati di Acli, Inas, Inca e Ital), a sostegno della petizione popolare (che in dieci giorni ha già raccolto oltre 110 mila firme di adesione), è solo una prima tappa per chiedere una sostanziale modifica della misura considerata ingiusta, socialmente ed economicamente insostenibile; se approvata, avvertono, rischierebbe di mettere in ginocchio la rete di solidarietà dei patronati che esiste da 70 anni e che finora ha contribuito a difendere e a promuovere diritti previdenziali e socio-assistenziali delle persone.

La battaglia che stanno conducendo assume una valenza ancora maggiore, in considerazione dell’atteggiamento punitivo espresso dall’attuale governo, a più riprese, senza tanti giri di parole, di voler colpire i corpi intermedi della società. I patronati fanno accuse precise: l’atteggiamento del presidente del consiglio che dice di voler cambiare l'Italia rivolgendosi direttamente ai cittadini, mal si concilia con azioni che si ritorcono contro chi svolge un ruolo di rappresentanza dei bisogni sociali, quali sono i patronati, che rappresentano l'unico vero welfare gratuito sopravvissuto alla crisi.

La norma contenuta nella legge di Stabilità prevede da subito un taglio di 150 milioni di euro al Fondo patronati e, già a partire  da quest'anno, una riduzione dell'aliquota contributiva previdenziale destinata alla tutela individuale di 0,78 punti percentuali, pari al 35 per cento delle risorse complessive. In altre parole, il Fondo, attualmente di circa 430 milioni di euro, che viene ripartito tra i 29 patronati accreditati presso il ministero del lavoro in ragione dell’attività svolta,  verrebbe ridotto con un colpo solo a 280 milioni.

Ma non basta. Per il futuro, già a partire dall’anno in corso, viene diminuita in modo consistente la percentuale della contribuzione previdenziale che serve ad alimentare il Fondo patronati, passando dallo 0,226 allo 0,148 per cento. Ciò significa che mentre il lavoratore continuerà a versare integralmente i contributi previdenziali obbligatori, calcolati sulla base del proprio stipendio, una quota di questi finirà nelle casse dello Stato, molto probabilmente per ripianare i già disastrati conti pubblici.

Una vera e propria stangata inaccettabile
e solo apparentemente immotivata, che sembrerebbe ispirata dall’intenzione di voler far cassa con i soldi dei soliti noti; lavoratori dipendenti e pensionati, che garantiscono all’erario, attraverso il pagamento corretto delle tasse,  la stragrande maggioranza del gettito tributario complessivo, cercando di nascondere però gli oneri aggiuntivi a loro carico che ne deriverebbero. Infatti, gli oltre 21 milioni di dipendenti e pensionati, che oggi possono contare sui patronati per il disbrigo delle pratiche previdenziali o per l’accesso alle prestazioni socio-assistenziali, pur continuando a versare gli stessi contributi di prima, dovranno vedersela da soli, o peggio ancora, rivolgersi al mercato privato della consulenza. Il che si traduce in un duplice danno sociale ed economico. Con questa operazione, denunciano i quattro patronati, il governo, quindi , finirà per scippare i soldi dei lavoratori, senza specificarne l'utilizzo che ne farà.

Una beffa a cui si aggiunge un danno economico serio che aggraverà le già precarie condizioni di coloro che pagano con la disoccupazione e la povertà le conseguenze di una crisi gravissima. Per Acli, Inas, Inca e Ital, quindi, la sottrazione delle risorse al Fondo patronati, se approvata così com'è, si tradurrebbe, di fatto, in un'altra “tassa occulta” ai danni delle persone socialmente più deboli, costrette, dietro pagamento, a rivolgersi al mercato selvaggio anche di sedicenti consulenti, che operano senza alcun controllo e senza regole.

Senza la rete dei patronati, a soffrirne sarà anche la stessa Pubblica amministrazione, sulla quale pesa la più volte richiamata operazione di spending review, che finora ha già prodotto la chiusura di tanti sportelli territoriali per il pubblico. E che questa non sia soltanto una percezione, lo dimostrano anche i numerosi attestati di solidarietà e di sostegno alla protesta dei patronati contro i tagli, che le varie sedi Inps provinciali e regionali hanno voluto esprimere. Dati alla mano, Acli, Inas, Inca e Ital, hanno calcolato che senza le strutture dei patronati, la pubblica amministrazione dovrebbe spendere 657 milioni di euro per garantire la stessa qualità e quantità delle pratiche istruite dai patronati. Considerando soltanto l’attività di tutela individuale di Acli, Inas, Inca e Ital, in un solo anno, coloro che si sono rivolti a un patronato sfiorano 7 milioni di persone, cui corrispondono circa dieci milioni di pratiche aperte. In tempi difficili come questi, non sono certamente cifre simboliche.