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Magari non ci si pensa, ma anche i fisioterapisti soffrono di disturbi muscolo-scheletrici. Sono lì per curare quelli dei loro pazienti, ma si ammalano a propria volta. A illuminare le patologie di una professione ancora poco indagata è la ricerca “Il rischio da posture incongrue per la spalla: mansioni del fisioterapista e dell’operatore socio-sanitario a confronto”. Lo studio, realizzato dal tecnico della prevenzione Martina Peressoni del Dipartimento di Prevenzione di un’Azienda sanitaria del Friuli Venezia Giulia, con la collaborazione del Servizio di prevenzione e protezione interno della stessa Azienda e dell’european ergonomist Sonia Marino, è stato costruito mediante la somministrazione di 44 questionari e sopralluoghi in reparto per la valutazione del rischio da posture statiche. Il campione è costituito dal personale di una Residenza sanitaria assistenziale, formato per l’80 per cento da donne.
Il 64,3 per cento dei fisioterapisti afferma che il distretto delle braccia è quello maggiormente colpito da malessere alla fine del turno di lavoro (anche se le assenze da lavoro per quel distretto del corpo sono solo del 12,5 per cento); sempre il 64,3 per cento dei fisioterapisti soffre o ha sofferto di patologie agli arti superiori, di cui il 28,6 a carico della spalla. Per quanto riguarda gli operatori socio-sanitari, il 50 per cento evidenzia alla fine del turno di lavoro malessere al tronco e il 40 alle braccia; il 30 per cento rimane assente dal lavoro, per malattia, a causa di disturbi muscolo-scheletrici legati al tronco, mentre il 23,3 riporta di soffrire o di aver sofferto di ernia discale lombare e di patologie a polso e mano-dita.
Passiamo ora all’osservazione diretta delle mansioni. Nel fisioterapista le attività di mobilizzazione di spalla, ginocchio e mano, quando viene utilizzato un “cubo obliquo” (attrezzatura di lavoro deputata al drenaggio della mano del paziente), comportano un maggiore rischio da sovraccarico biomeccanico per la spalla. Le elevazioni delle braccia, inoltre, possono superare i 60 gradi: una postura aggravata sia dall’utilizzo della forza, che aumenta quanto più le articolazioni risultano rigide, sia dal tempo di permanenza in quella posizione, che per queste mobilizzazioni è superiore a un minuto, tempo di mantenimento non raccomandato dalla norma tecnica. Riguardo gli operatori socio-sanitari, la maggior parte delle attività che vengono svolte quotidianamente, come l’igiene e la vestizione a letto dei pazienti, non comportano grandi rischi per la spalla: le elevazioni delle braccia non superano i 45-60 gradi e vengono mantenute per un tempo accettabile. Altre attività che possono causare l’assunzione di posture critiche, come la rasatura della barba in carrozzina o il lavaggio dei capelli a letto di un paziente, sono comunque occasionali, comportando quindi un rischio molto basso.
Il rischio posturale per la spalla dei fisioterapisti è quindi significativo, mentre per gli operatori socio-sanitari risulta minimo. Come intervenire? Gli autori della ricerca propongono, per l’attività del fisioterapista, la realizzazione di studi su tecniche di riabilitazione alternative che tengano conto anche dei principi dell’ergonomia; una volta studiate tali tecniche e valutata la loro efficacia, è necessario darne ampia diffusione con l’organizzazione di specifici corsi di formazione. Per gli operatori socio-sanitari, invece, si sottolinea la necessità di introdurre nei corsi di formazione e addestramento il miglioramento delle posture che vengono assunte nel corso della loro attività che non si limiti al solo distretto del tronco, ma anche agli altri distretti del corpo, valutando poi direttamente in reparto l’efficacia della formazione impartita.