Sciopero a oltranza, per cercare di salvare 585 posti di lavoro. Sono quelli del call center Qè di Paternò (Catania), ormai avviato alla chiusura. L’azienda, con sede a Manerbio (Brescia), è sotto procedura fallimentare, travolta da debiti per circa sette milioni di euro, un rosso di bilancio che non permette piani di sviluppo o eventuali acquisizione di commesse in grado di aumentare la produttività aziendale. I lavoratori sono da tre mesi senza stipendio (e non ricevono più neanche i contributi Inps), ed entro pochi giorni partiranno i decreti ingiuntivi per cercare di recuperare qualcosa.

Il call center Qè annovera importanti committenti (come Enel energia e Transcom), eppure da tempo attraversa notevoli difficoltà. Nell’aprile 2015 è iniziata la cassa integrazione, nell’aprile 2016 sono stati licenziati circa 200 lavoratori a progetto, mentre in maggio sono scattati i contratti di solidarietà, che hanno comunque evitato i 90 esuberi richiesti dall’azienda. Ed è sempre da maggio che gli stipendi non vengono versati.

L’ultimo colpo alle speranze dei lavoratori (275 a tempo indeterminato, i restanti a progetto) è arrivato lunedì 12 settembre al “tavolo tecnico” convocato presso la Prefettura catanese con gli eventuali nuovi acquirenti. Ma le aziende (Gpi e Transcom) che avevano mostrato interesse a rilevare il call center, spiegano il coordinatore generale Slc Cgil Sicilia Davide Foti e il segretario della Fistel Cisl catanese Antonio D'Amico, “si sono defilate, esprimendo perplessità su un eventuale affitto di azienda, mentre le rimanenti hanno espresso in maniera poco trasparente la volontà di prendere solo parte dei lavoratori con le proprie commesse di appartenenza”, ossia le commesse Wind ed Enel, che però riguardano appena 90 dipendenti.

Slc Cgil e Fistel Cisl sottolineano che “la poca trasparenza da parte dell’azienda legata alla mancanza delle retribuzioni da erogare ai lavoratori, stia delineando la morte sociale di centinaia di famiglie nel territorio”. I sindacati chiedono la convocazione urgente di un tavolo di concertazione nazionale al ministero dello Sviluppo economico, puntando sul fatto che due delle commesse del call center sono di emanazione o partecipazione statale (Enel e Inps). Il grande timore di Slc e Fistel, però, è che gli eventuali acquirenti intervengano soltanto dopo il fallimento, in modo da acquisire proprietà e commesse a prezzi ribassati. Una soluzione che, ovviamente, non riporterebbe al lavoro tutti i dipendenti.