“Vogliamo fare un passo avanti: nel corso dei mesi abbiamo affrontato il tema industria 4.0 dal punto di vista teorico, ma a partire da adesso vogliamo gettare le basi per costruire gradualmente le connessioni con la nostra attività concreta, col nostro ruolo di difesa e rappresentanza del lavoro”. Lo afferma il segretario confederale della Cgil, Franco Martini, nella relazione introduttiva al seminario “Co-determinazione 4.0. Governance e contrattazione d'anticipo nella digitalizzazione”, che si è svolto oggi in corso d'Italia. “Per fare questo – aggiunge – dobbiamo usare la contrattazione”.

 

Lo scenario è mutato negli ultimi tempi: “L'andamento dell'economia mostra segnali di ripresa, che in una lettura troppo ottimistica fanno parlare di uscita dalla crisi. Dall'altra parte c'è stata l'intesa con Confindustria sulle relazioni industriali, un atto tutt'altro che formale”. Nel frattempo il fenomeno della digitalizzazione è emerso in tutta la sua portata: “Investirà l'intera economia – dice Martini –, riguarderà ogni tipo di lavoro, e dentro questi processi convivranno spinte opposte. Ci saranno maggiori opportunità, come la creazione di più ricchezza, ma ci saranno anche grandi inquietudini legate alla cancellazione di posti di lavoro. Arriverà nuova occupazione, legata alle nuove attività, certo, ma nessun processo è automatico: serve un'azione regolatrice che sappia governarlo”.

Fondamentale sarà il ruolo del sindacato. “Oggi l'organizzazione sindacale rischia di non farcela. Senza una nuova cultura delle relazioni industriali e una nuova qualità della contrattazione il nostro ruolo sarà subalterno, i lavoratori vivranno passivamente i cambiamenti. Al contrario, serve partecipazione alla gestione delle imprese. Su quel livello si gioca il governo dei cambiamenti: e la partecipazione non è una concessione, bensì un terreno più avanzato in cui c'è la responsabilizzazione delle persone che lavorano, ovvero emerge la forza delle idee”.

La via da seguire si chiama contrattazione d'anticipo: “Serve questa contrattazione per mettersi davanti alla corrente – afferma –: occorre portare la nostra organizzazione a un ingresso nella partecipazione. Per questo dai prossimi giorni la segreteria svilupperà un progetto nazionale sul tema della partecipazione. Ci sarà un investimento formativo, per costruire la giusta forma mentis dei nostri dirigenti, poi un forte investimento nella sperimentazione”. La governance deve essere aperta e democratica, coinvolgere i lavoratori fino ad arrivare alla codecisione: “È importante contrattare a vari livelli – conclude Martini –: bisogna farlo su orari, riconoscimenti professionali, turni, diritti occupazionali, accesso al lavoro, salute e sicurezza”.

 

“Consegniamo questa discussione al percorso congressuale: è un perimetro aperto, un tema che dobbiamo affrontare per conoscerlo sempre meglio”. Così Vincenzo Colla, segretario confederale della Cgil, nelle sue conclusioni: “Oggi siamo davanti a un cambiamento innovativo che ha un impatto inedito, non solo sindacale ma anche politico e sociale, e non c'è ancora la portata precisa di ciò che sta avvenendo”.

“La Cgil non è contro l'innovazione, anzi l'esatto contrario – precisa Colla –, abbiamo sempre governato i processi. Noi dobbiamo guardare alla nostra gente ma non solo, non limitarsi ai luoghi di lavoro, ma parlare complessivamente a tutto il Paese. È nella nostra cultura: gestiamo l'innovazione, a partire da Di Vittorio, quando i trattori entravano nei campi e cancellavano posti di lavoro. La tecnologia di oggi – però – ha una velocità spiazzante, arriva nella testa delle persone e le disorienta nell'impiego e nella società. E questa velocità pone il tema della rappresentanza”.

L'accordo con Confindustria è una novità importante, prosegue. “Mai abbiamo scritto punti così netti in un'intesa: tra questi, facciamo riferimento alla legge sulla rappresentanza con Cisl e Uil e anche con le imprese. In tale scenario c'è però un vuoto drammatico di pensiero: nelle grandi rivoluzioni industriali del passato c'era un'idea alla base che gestiva quel cambiamento, c'erano le forze di sinistra. Ora non c'è alcun impatto della politica rispetto ai soggetti economici, perché quei soggetti sono nettamente superiori”.

Si torna quindi al governo dell'innovazione: “La digitalizzazione sta polarizzando il mercato del lavoro e l'intero sistema, include pochi e lascia fuori una massa. C'è una frattura sociale, il tema è come riuscire a ricucirla, come costruire un'area di mezzo di tenuta sociale, politica e istituzionale. Dobbiamo agire attraverso la contrattazione, per contrastare quella bolla di lavoro povero che si espande”.

Allo stato attuale, resta prioritaria la condizione dei lavoratori. “Nella crisi abbiamo perso il 25% del nostro settore manifatturiero, il secondo d'Europa: la verità è che in quelle imprese l'innovazione non c'era, si ragionava per metodi più tradizionali e quindi sono finite fuori mercato. Il nostro ruolo è anche riflettere su come tenere dentro queste aziende. Prima di tutto, dobbiamo riconvertire i lavoratori attuali che si ritrovano nella fascia di debolezza, bisogna renderli alfabeti digitali: serve un new deal della formazione”.

Tornando sulla bolla di povertà, “siamo davanti a un lavoro atipico e precario, in cui l'elemento digitale si mescola con quello tradizionale. In quella bolla c'è la rabbia, il non riconoscimento, lo scavalcamento della nostra rappresentanza e la difficoltà di esercitarla. Se non governiamo l'innovazione – infine –, emergerà un problema di tenuta democratica. Anche l'economia ha bisogno di partecipazione, a vari livelli: per esempio, si può partecipare alla decisione di come ripartire i fondi pubblici”.

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Tag: Industria 4.0