Colpisce la rilevante diversità delle ricadute politico-istituzionali sprigionate dalla crisi economica in Europa. I paesi che più hanno subìto i crampi della lunga contrazione hanno risposto in maniera difforme alle condizioni dell’emergenza sociale. Ovunque, con lo spettro dell’impoverimento di massa e dell’incertezza quotidiana, si sono verificati degli spostamenti elettorali consistenti e taluni partiti antichi si sono dileguati dinanzi alla rabbia degli esclusi.

E però, dal punto di vista storico-politico, solo in Italia si è registrata una caduta generale del sistema, con l’irruzione catastrofica di eterogenei volti dell’antipolitica (Grillo, Salvini, Berlusconi, Renzi). In altri regimi democratici, la contestazione dei partiti di governo, incapaci di affrontare la crisi e i suoi elevati costi umani, non si è tradotta in antipolitica, ma in nuove espressioni politiche intonate a un’inedita radicalità ideale e programmatica. Questo è accaduto in Spagna, e soprattutto in Grecia.

La ragione di questa diversità, che si riscontra nella valutazione delle conseguenze politiche della crisi, ha radici storico-culturali (tuttavia, tra i paesi in affanno, proprio l’Italia era quello che vantava una più consistente esperienza di continuità democratica, che si dipanava ininterrotta dal secondo dopoguerra), ma evoca anche un elemento specifico che appartiene tutto alla congiuntura.

Mentre in Spagna e in Grecia la dialettica politica non è stata anestetizzata in nome di una religione della stabilità che consigliava la sospensione del voto, in Italia la contesa politica è stata spenta, per un’alchimia assurda chiamata responsabilità. La responsabilità che in Italia consigliava di allontanare le urne si è però tramutata in antipolitica che, in un’onda anomala, ha travolto il sistema, che si illudeva di affidare alla neutralizzazione della tecnica la risoluzione delle più gravi diseguaglianze sociali del capitalismo post-moderno.

E cosa c’è di più politico della crisi sociale che impone delle soluzioni nitide che prima non erano formulabili con altrettanta trasparenza? L’illusione del ritrovato tecnico ha spento la politica proprio quando la sua funzione sarebbe stata cruciale. In Grecia, invece, la prosecuzione della battaglia politica (neanche la mancata rielezione del presidente della Repubblica, nelle tre occasioni previste dalla Costituzione, è stata vissuta come una tragedia), per imporre soluzioni socialmente alternative alla crisi, non ha prodotto una distruttiva contesa tra dentro (il sistema) e fuori (la società civile).

Ha determinato però una radicalizzazione della conflittualità tutta saldamente collocata entro l’asse destra-sinistra. A destra è così comparsa una formazione radicale, non priva di simbologie inquietanti, e a sinistra è apparso il fenomeno Tsipras. Dove la politica ha proseguito le sue dinamiche conflittuali, il sistema ha gestito le tensioni producendo un ricambio di governo. Nei paesi che invece hanno congelato le fratture politiche, sono sorte nuove linee di inimicizia e le energie compresse dall’alto, ritrovandosi prive della valvola di sfogo dell’alternanza, hanno assunto la forza distruttiva dell’antipolitica che ha reciso il sistema nel suo complesso. Per questo ad Atene la piazza canta “Bella ciao” e a Roma urla “tutti a casa”.