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Sono più di 200 mila e il loro numero cresce ogni anno di più, in modo direttamente proporzionale all'aumento degli over 65 in Veneto e in tutta Italia. Gli anziani non autosufficienti rappresentano ormai il 18,7% della popolazione anziana, eppure la Regione, che si vanta di avere un sistema socio sanitario di eccellenza, non sembra accorgersi di loro. È quanto emerge con evidenza dall'approfondita indagine realizzata dall’Ires Morosini e commissionata dallo Spi Cgil Nazionale e intitolata “Oltre la cura: le politiche per gli anziani non autosufficienti nella regioni italiane” che mette in evidenza come il Veneto non abbia ancora dato attuazione alla legge quadro sulla non autosufficienza (30/2009) e, unica in Italia, abbia disconosciuto un'altra importante legge quadro, quella sull'assistenza (328/2000). Inoltre manca una programmazione di interventi sulla prevenzione delle malattie e sui corretti stili di vita da adottare sin da giovani.
L'indagine racconta di una realtà regionale variegata e complessa, in cui la maggior parte delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie devono affrontare spese molto differenziate per pagare le rette delle residenze sanitarie assistenziali (tra i 1.000 e i 3.000 euro al mese) o per assumere una assistente familiare (circa 1.500 euro al mese, se in regola). Infatti, come rivela l'indagine, solo il 12,9% dei circa 202 mila anziani veneti ultra65enni può contare sul contributo regionale per pagare la retta nella Rsa, perché dal 2009 il Veneto ne eroga sempre lo stesso numero: 26.113. Stiamo parlando di contributi che variano dai 49 euro giornalieri ai 92 euro per le persone malate di Alzheimer.
Nelle oltre 300 strutture sono ospitati circa 27 mila anziani non autosufficienti (di cui il 76% è ultraottantenne) a fronte di circa 30 mila posti a loro destinati; molti letti restano vuoti, dunque, perché gli anziani e le famiglie che non ricevono il contributo regionale non possono affrontare la spesa per pagare la retta, che a questo punto vedrebbe sommate quota sanitaria e quota alberghiera con un onere mensile intorno ai 3000 euro. Per questo, si specifica nell'indagine, in molti ricorrono alle assistenti familiari. Quelle regolari in Veneto sono più di 31 mila, per l'80% straniere dell'Est Europa. Ma si calcola che ce ne siano almeno altre 60 mila irregolari: la convenienza può apparire allettante sia per la famiglia (non si pagano contributi, ferie, etc.) che per la badante (una paga netta più sostanziosa). Ma a conti fatti, per la famiglia, regolarizzare conviene sempre. Sia perché si possono detrarre parte dei contributi sia perché una causa di lavoro può costare molto salata.
In tale contesto, come spiega Gino Ferraresso, responsabile del dipartimento di Contrattazione sociale dello Spi Veneto, “le risorse nazionali e regionali per la non autosufficienza vanno aumentate in maniera consistente. Ma ciò può anche non bastare. Quello che manca veramente è una seria programmazione degli interventi. Per questo prima di tutto bisogna investire in prevenzione a partire dalle persone più giovani: stili di vita corretti diminuiscono la possibilità di diventare malati cronici. Poi è necessario prendere in carico la persona quando cominciano ad emergere i primi segnali della non autosufficienza, per rispondere in maniera adeguata a quei bisogni mutati. Il distretto socio-sanitario dovrebbe essere il regista di questa presa in carico attraverso un lavoro coordinato delle assistenti sociali, dei medici di medicina generale, dei Comuni. Le prestazioni e i servizi (co-housing, assistenza domiciliare, assistenti familiari, centri diurni, centri servizio, volontariato, etc.) potrebbero alla fine costare di meno (in termini di risorse economiche) e far star meglio sia la persona, che la famiglia che la comunità”.
Per il sindacato dei pensionati della Cgil, la priorità nel confronto con la Regione, con i Comuni e con i centri servizi, attraverso la contrattazione sociale, è assicurare risposte adeguate al tema della non autosufficienza e più in generale dell’invecchiamento.