Si torna al lavoro, arrivano i licenziamenti. Prima della crisi l’azienda Berti di Villa del Conte (Padova), leader del settore dei pavimenti in legno, dava lavoro a 141 persone. Adesso sono arrivate altre 29 “lettere”, che ridurranno i dipendenti a un quarto di allora. "Una scelta che non possiamo condividere” spiegano Rosanna Tosato (Fillea Cgil Padova) e Rosolino Coniglio (Filca Cisl Padova e Rovigo), perché “può soddisfare le esigenze delle banche ma non gli interessi dei lavoratori, mettendo in discussione la continuità produttiva dell'azienda”.

Il successo dell’azienda era legato alle dinamiche dell'edilizia, che ha subito colpi durissimi dal 2008 a oggi. Questo non poteva non comportare conseguenze, ma nonostante tutto – spiegano i sindacati – i livelli occupazionali sono stati sostanzialmente garantiti fino al 2014, e gli esuberi gestiti con politiche di incentivo all'esodo, utilizzo di ammortizzatori sociali (cassa integrazione ordinaria e straordinaria, contratti di solidarietà) e percorsi di formazione e outplacement, che hanno consentito ai lavoratori di scegliere se e quando uscire dall'azienda.

“Le cose sono cambiate – scrivono Fillea e Filca padovane – quando le banche hanno sollecitato la Berti a sottoscrivere un accordo di ristrutturazione del debito, causato dall'investimento, proposto dalle stesse banche, nella realizzazione di un nuovo capannone. Una scelta che ha determinato un'ulteriore esposizione con ben otto istituti di credito, che a propria volta hanno poi preteso un piano industriale”. Nel 2015 è stato inoltre attivato, da parte di uno degli istituti, l'articolo 182 bis della legge fallimentare, che prevede una particolare procedura per la ristrutturazione del debito, allungando i tempi previsti nel piano industriale per la ristrutturazione dell'azienda.

Nel piano industriale, precisano i sindacati, erano previsti anche la trasformazione della società da snc in srl, cosa non ancora avvenuta, e il passaggio generazionale con l'intestazione del 90 per cento dell'azienda ai figli del fondatore. È arrivato infine un amministratore delegato esterno, anche in questo caso su richiesta delle banche. Ed eccoci a oggi, con la scelta unilaterale di licenziare altre 29 persone delle 74 rimaste.

“Non abbiamo mai sottoscritto il piano industriale deciso con le banche perché prevedeva la riduzione del personale a 45 unità, obbiettivo che si sta raggiungendo con quest'ultima decisione, mentre il resto del piano è ben lontano dall'essere realizzato” concludono Rosanna Tosato (Fillea Cgil Padova) e Rosolino Coniglio (Filca Cisl Padova e Rovigo): “Non solo non abbiamo accettato di concordare con l'azienda criteri diversi da quelli previsti dalla legge nella decisione di chi lasciare a casa, anche se ci sono criteri molto discutibili contenuti nelle norme, ma ci opporremo a questa scelta con tutti gli strumenti a disposizione, perché non possiamo assistere passivamente alla perdita di decine di posti di lavoro e alle difficoltà drammatiche che ricadranno su tante famiglie dell'Alta padovana”.