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Se c’è una cosa che l’emergenza Covid-19 dovrebbe finalmente aver fatto capire a tutti è l’importanza del lavoro pubblico: una lunga catena che parte da medici e infermieri, ma che comprende anche le lavoratrici e i lavoratori della Polizia di Stato e degli altri Corpi.
Il paese si trova in una situazione inedita. Per la prima volta dalla nascita della Repubblica è stata sospesa, in via eccezionale e temporanea, la libertà di spostamento delle persone e questo, dice Daniele Tissone, segretario generale del Silp Cgil, “con l’avvicendarsi dei diversi provvedimenti, ha comportato un aumento notevole dei carichi di lavoro per gli agenti di Polizia”. Un lavoro molto delicato, perché mai come in questa situazione i poliziotti sono tenuti a far rispettare regole inedite, molto dure, e, insieme, a svolgere un lavoro di contenimento e rassicurazione dell’ansia in aumento della popolazione.
Un’ansia evidente dai racconti di molti operatori. “Le pressioni sono tante – racconta Gaetano Cantile, delegato Silp della Polfer di Verona –. Le nostre volanti ricevono sempre più spesso chiamate per i litigi in casa che in una situazione di costrizione domestica aumentano. Poi magari ci sono le vecchiette che vedono gente passeggiare, si spaventano e ci chiamano. Il che, in un contesto in cui gli organici sono già insufficienti, crea sicuramente problemi ulteriori”.
I dati del Viminale sono del resto espliciti: dall'11 al 22 marzo sono stati controllati circa 2 milioni di cittadini e denunciati oltre 92 mila. Un carico di lavoro così alto evidentemente espone gli operatori a grandi rischi di contagio. “Per questo – riprende Tissone – chiediamo con forza al dipartimento della Pubblica sicurezza di colmare la carenza di dispositivi di sicurezza individuale. Non pensiamo solo alle mascherine e ai guanti, ma anche alla sanificazione degli ambienti, dei mezzi, dei reparti”. Tra le richieste dei sindacati, riprende il segretario del Silp, “c’è anche quella di dotare le forze di polizia di termometri frontali a pistola per misurare la temperatura corporea e l’introduzione di test rapidi per le analisi del sangue”.
Cantile, come detto, lavora alla Polfer di Verona: snodo territoriale essenziale, perché per la città veneta passano le direttrici ferroviarie Nord-Sud e, soprattutto, Est-Ovest, cioè l’asse Milano-Venezia, tra i più esposti al contagio del Coronavirus. “Dal 9 marzo – racconta – ormai abbiamo ridotto al minimo gli altri servizi, facciamo quasi esclusivamente controlli sulle autocertificazioni delle persone che prendono i treni. In questo momento la situazione si è abbastanza normalizzata, ma nei primi giorni controllavamo anche 600 persone al giorno e tra gli agenti un po’ di paura del contagio c’era, anche perché non conosci mai lo stato di salute di chi hai di fronte”.
Il delegato racconta di turni pesantissimi, anche 12 ore al giorno, con solo sei agenti per turno a lavorare e, tuttavia, sottolinea il grandissimo senso di responsabilità degli operatori: “C’era la possibilità del tutto legittima di usufruire di ferie e permessi, ma quasi nessuno lo ha fatto, non abbiamo avuto particolari defezioni”. La nota dolente riguarda i dispositivi di protezione. Con aspetti paradossali: in un primo momento le indicazioni erano di usare la mascherina solo se a contatto con una persona contagiata. Ma come si fa a saperlo?
“Ora – riprende Cantile – le mascherine chirurgiche le usiamo normalmente, ma sono contingentate e dunque siamo costretti a lavarcele anche se sono di carta. Abbiamo anche le mascherine Ffp3, ma l’indicazione è di usarle soltanto quando si è a contatto con soggetti che reputiamo a forte rischio di aver contratto il Coronavirus. Anche in questo caso però non è facile distinguere: magari parli per un quarto d’ora con una persona e scopri che doveva stare in quarantena, ma tu intanto per tutto quel tempo hai indossato solo la mascherina chirurgica”.
La carenza di adeguate protezioni è purtroppo tema ricorrente. Domenico Chechi, delegato Silp, è in prima linea nella squadra volante di Bari: “Rispetto al passato – ci dice – stiamo molto più attenti a mantenere le distanze rispetto alle persone che controlliamo. Ti confesso che la paura di essere contagiati c’è, anche perché non abbiamo protezioni sufficienti: come operatori abbiamo una mascherina Ffp3 a testa che ci è stata data dieci giorni fa, mentre i guanti e le mascherine chirurgiche che teniamo in auto ce le siamo comprati da soli”. Con situazioni, soprattutto nei giorni passati, veramente a rischio: tra l'8 e il 10 marzo, racconta il delegato, “al porto di Bari ci siamo trovati a fronteggiare un’ondata anomala di albanesi che dalle zone rosse tornavano nel loro paese, ed eravamo senza guanti e protezioni”.
Anche il lavoro “ordinario” è faticoso. “Qui a Bari – ammette – c’è ancora tanta gente in strada: non tutti hanno capito i rischi di questa situazione. D’altra parte, però, riscontriamo anche la collaborazione di tante persone che ci segnalano gli assembramenti, alcuni iniziano a rendersi conto che i rischi non sono solo individuali, ma anche collettivi”.
I limiti imposti dai protocolli di sicurezza rendono poi ancora più difficile operare, considerando che già si sconta una carenza di organico stimata dal Silp di Bari in almeno 50 unità. “In macchina siamo in due – spiega Chechi –, ma nella sala equipaggi anche in 20. Quindi secondo l’ultima direttiva per evitare assembramenti tra di noi, scaglionandoci sui nostri quattro turni, a Bari e provincia non potranno uscire più di tre macchine al giorno, il che è veramente troppo poco per il lavoro che dobbiamo fare”. D’altro canto, con questi numeri, un contagiato in sala equipaggi potrebbe, visto l’obbligo di quarantena, mettere in ginocchio l’intera squadra volante della città pugliese. Nonostante questo, anche Chechi sottolinea che “gli agenti, con grande spirito di sacrificio, sono tutti al lavoro”.
Ma il lavoro è cambiato anche per chi non sta sempre in prima linea. Francesco De Fina, anche lui delegato Silp, lavora alla scientifica di Reggio Calabria: “Qui – riconosce – il Questore sta facendo tantissimo, anche oltre le sue possibilità. Ma anche da noi le protezioni mancano: le mascherine ce le compriamo, spesso ce le facciamo da soli. Credo che la Protezione civile tra i soggetti che rifornisce, oltre naturalmente a medici e infermieri, dovrebbe pensare anche a noi. Quando facciamo rilevazioni o prendiamo impronte digitali siamo a contatto con persone che potrebbero benissimo essere infette senza che noi lo sappiamo”. Tra gli aspetti positivi De Fina segnala i passi avanti che a Reggio Calabria si stanno facendo, ci dice, “per introdurre, laddove possibile, lo smart working. La Questura sta predisponendo le piattaforme, speriamo che si proceda rapidamente in questa direzione”.
L’altro snodo essenziale, dopo quello ferroviario, per limitare il contagio è naturalmente il controllo delle strade, rispetto al quale un ruolo fondamentale lo sta svolgendo in questi giorni la polizia stradale. Robes Roncolato lavora a Como, territorio fondamentale perché comprende anche il confine nazionale: “La sensazione – commenta – è che la gente stia capendo la situazione. Le denunce ex articolo 650 del codice penale che siamo stati costretti a fare non sono molte. Lo scorso fine settimana l’autostrada era di fatto deserta”.
I problemi sono quelli segnalati dagli altri operatori: “La dotazione dei dispositivi di protezione è scarsa, le mascherine Ffp3 cerchiamo di usarle solo quando ci troviamo in situazioni potenzialmente rischiose. Tuttavia rispettando le distanze di sicurezza i rischi diminuiscono”. Così come agendo sul piano organizzativo: “Gli equipaggi di solito cambiano, ma in questa situazione sono diventati fissi: così se un agente dovesse risultare positivo, se ne fermerebbe in quarantena solo un altro. Negli uffici il personale si alterna: si fa il doppio turno in una giornata e si riposa il giorno successivo. Dobbiamo ridurre al minimo i rischi, il nostro è un lavoro che non si può fermare”.
Anche a Como le carenze in organico si fanno sentire. Secondo il Silp servirebbero almeno il 20 per cento di agenti in più: “Proprio in questi giorni doveva esserci l’assegnazione di nuove forze – conclude Roncolato –, ma per ora l’emergenza Coronavirus ha bloccato tutto. Speriamo che si proceda il prima possibile: con più personale, ad esempio, si potrebbero presidiare tutte le uscite autostradali, luoghi cruciali in questa fase in cui ci sono persone che ancora tentano di spostarsi per tornare a Sud”.
Insomma, l’emergenza attuale porta in luce carenze ormai endemiche rispetto alle quali, però, il virus ha poche responsabilità se non quella di farle emergere con ancora maggiore evidenza.