Non è stato certo un incontro decisivo quello di ieri, 20 settembre, al Mise tra sindacati e governo. È stato piuttosto un confronto in cui sono arrivate delle sostanziali conferme a quanto era già emerso nei giorni scorsi. Al ministero dello Sviluppo economico per il governo erano presenti il ministro Carlo Calenda e il viceministro, Teresa Bellanova. Per i sindacati Rosario Rappa, segretario nazionale della Fiom Cgil, Rocco Palombella, segretario generale della Uilm e Raffaele Apetino, coordinatore nazionale Fim Cisl siderurgia. Presenti anche il commissario Piero Nardi, il governatore Enrico Rossi e il sindaco di Piombino Massimo Giuliani. Il ministro Calenda ha confermato che il 31 ottobre resta il termine ultimo per Issad Rebrab per presentare un socio per il settore siderurgico e un piano di sostegno finanziario ai suoi progetti. Che detto in termini più chiari, è il tempo concesso per trovare un'intesa con Sajjan Jindal per la cessione dello stabilimento piombinese.

Il gruppo indiano, insieme alla British Steel, è nei fatti il più lanciato per rilevare il settore siderurgico, ma anche altri sarebbero presi in considerazione. Perché ormai il patron algerino Issad Rebrab e il suo piano siderurgico di rilancio degli stabilimenti piombinesi non sono più considerati affidabili, né tanto mento realistici, da nessuno. Dopo tre anni di promesse, rinvii, incontri e proteste, oggi le storiche acciaierie di Piombino sono completamente ferme e deserte. E quegli stabilimenti, fiore all'occhiello della siderugia italiana di qualche anno fa, sempre più lontani dal rilancio sul mercato.

Il tempo sprecato è stato tanto e ora ne è rimasto veramente poco. “Occorre cercare subito soluzioni affidabili attraverso un piano industriale che si basi su risorse certe e sinergie possibili. Il rilancio del distretto industriale di Piombino attraverso la produzione di buon acciaio e il mantenimento dei livelli occupazionali non può attendere oltre” hanno ribadito fermamente i sindacati a margine dell'incontro. Sembra quindi che la soluzione concordata, con il raggiungimento dell'accordo tra Rebrab e Jindal, è quella sulla quale punta il governo. In alternativa si prospetta il processo di risoluzione del contratto, tra l'altro già formalmente avviato con le lettere di contestazione inviate a Cevital dal commissario Piero Nardi, dopo le gravi inadempienze del gruppo che non ha rispettato la commessa di Ferrovia dello Stato.

Uno scenario che aprirebbe la strada a una nuova asta competitiva. Opzione che però vorrebbe evitare chi lavora per una soluzione positiva della vicenda piombinese, dopo cinque anni di crisi. L'avvio di una nuova gara, scontato se si arrivasse alla rescissione del contratto con Rebrab, potrebbe escludere la possibilità di una ripresa dell’attività delle acciaierie piombinesi. I tempi lunghi che comporterebbe sarebbero in contrasto con l’esigenza, sottolineata da più parti, di tornare rapidamente sul mercato, almeno con la ripresa dei laminatoi. Ripresa che Jindal potrebbe garantire, seppur con tempi non definiti, se la trattativa con Rebrab andasse in porto.

Ma sia nel caso di una nuova asta, sia se si raggiungesse un accordo, si parla comunque di 3 o 4 anni di attesa per la piena occupazione e stabilizzazione dei circa 2000 lavoratori diretti, oltre quelli dell'indotto. Occupazione che comunque non è affatto certa. Perché se Rebrab lasciasse la parte siderurgica ad un potenziale partner, resterebbe comunque da capire cosa succederà ai 750/900 lavoratori che nei piani industriali presentati dovevano essere reimpiegati negli altri settori, agroindustria e logistica.

Il ministro ha ribadito - riferiscono ancora i sindacati - che il gruppo algerino avrà tempo fino alla fine di ottobre per finalizzare gli impegni previsti per lo stabilimento siderurgico di Piombino. Data la situazione, il dicastero sta vagliando però una rosa di compratori interessati all'acquisto se Cevital dovesse risultare inadempiente, e tra questi c'è il gruppo Jindal,. Prima opzione del governo rimane comunque quella di trovare un'intesa 'in bonis' col management del gruppo algerino, ma eventuali azioni legali non sono escluse da parte dello stesso esecutivo. Una scelta condivisibile rispetto ad atteggiamenti inaffidabili ed irresponsabili che ledono gli impegni presi ed offendono i lavoratori e un intero territorio”.