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L’azienda è tristemente nota per la repressione dei diritti dei lavoratori e per i suoi comportamenti punitivi. Sulla Biancoforno, 200 e passa dipendenti, fabbrica di prodotti dolciari di Fornacette, a pochi chilometri da Pisa, pendono denunce e vertenze promosse dalla Cgil. Ed è proprio con una delegata sindacale che se l’è presa di recente la spa toscana.
Jobs Act, tutele parziali e crescenti
Monica Demi lavora per la Biancoforno dal 2009 per sei anni con contratti a termine, di rinnovo in rinnovo, poi da giugno 2015 con il tempo indeterminato. Viene assunta con le tutele parziali e crescenti del Jobs Act, entrato nel frattempo in vigore il 7 marzo 2015, le stesse che il referendum sul lavoro, il quesito n. 1, vuole abrogare. “Sedici anni in azienda, prima da precaria poi da fissa” racconta.
La sua disavventura risaòe al febbraio di quest’anno. “Una collega è stata trattata male dai caporeparto in due distinte occasioni – racconta Monica –, Di conseguenza, dato il mio ruolo di delegata sindacale, ho chiesto di parlare con loro, richiesta a cui è seguito un confronto educato e civile. Eravamo in fabbrica, davanti alle altre colleghe. Abbiamo parlato ed espresso i nostri punti di vista”.
Sospensione cautelativa
Il giorno dopo, la doccia fredda: le viene comunicata la sospensione cautelativa per grave insubordinazione, l’anticamera del licenziamento. “Non mi capacitavo, perché non c’era stato uno scontro – prosegue Monica –, nulla che facesse presagire o prevedere un provvedimento del genere da parte dell’azienda. Avevamo parlato normalmente del comportamento di questi caporeparto, che avevano fatto piangere una collega, l’avevano presa di mira. Il tutto era avvenuto davanti a testimoni. Inoltre io ho esercitato solo il ruolo che mi compete da rappresentante sindacale aziendale. Insomma, la ragione era dalla mia parte”.
Lavoratrice scomoda
La sospensione dura quindici giorni, anche se all’inizio non le viene specificato per quanto sarebbe rimasta a casa. “Mi hanno tenuto così, sulla graticola, senza dirmi per quanto tempo – aggiunge –. Avrebbero potuto licenziarmi, per liberarsi di me, di una lavoratrice scomoda: il Jobs Act lo consente”.
“La Biancoforno è conosciuta sul territorio e non solo perché è un’azienda dove mancano i diritti basilari garantiti dalla legislazione sul lavoro – afferma Natasha Merola, segretaria della Flai Cgil Pisa –. Comportamenti come questi li tiene con gli iscritti al sindacato. In questo momento stiamo affrontando tre rapporti disciplinari e tutti e tre sono con nostri iscritti”.
3,5 milioni ricattabili
Chi è stato assunto con il Jobs Act come Monica, e cioè circa 3 milioni e mezzo di lavoratori, è ricattabile: ti possono licenziare in qualsiasi momento e se il giudice stabilisce che il licenziamento è illegittimo, non è previsto il reintegro nel posto di lavoro ma solo un risarcimento di 6 mensilità. E chi s’è visto s’è visto.
Abrogare il Jobs Act
Per spuntare questa arma affilata nelle mani delle imprese con più di 15 dipendenti, il primo quesito referendario chiede l’abolizione integrale del decreto legislativo n. 23 del 2015, il Jobs Act: se vinceranno i sì, i lavoratori come Monica, assunti dopo il 7 marzo 2015, saranno coperti dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come quelli contrattualizzati prima.
“Grazie all’intervento della Flai e della Cgil siamo riusciti a scongiurare il licenziamento – dice Monica –: l’azienda non ha portato avanti la cosa fino in fondo. Ma l’intento era chiaro: colpire una lavoratrice per educarne cento. In caso di licenziamento il giudice non avrebbe potuto decidere per la reintegrazione, ma solo per l’indennizzo. Ma non è una questione di soldi”.
I diritti, un optional
Alla Biancoforno, poco più di 200 dipendenti di cui una quota in perenne somministrazione, i diritti dei lavoratori sono un optional. I turni vengono decisi giorno per giorno e comunicati con un messaggio inviato su whatsapp, ma solo l’orario di inizio, non quello di fine.
Votare sì ai referendum
“Per l’uscita il lavoratore deve aspettare che qualcuno gli batta sulla spalla per il cambio turno – afferma Merola –. Per questo siamo in causa. Abbiamo avuto lavoratori videosorvegliati per anni e abbiamo dovuto fare causa. Abbiamo una causa in corso sul diritto di assemblea: 21 mila metri quadrati di capannone e l’azienda sostiene che non ha uno spazio per le assemblee sindacali. Per non parlare della precarietà. Lavoratori in somministrazione per anni, 7, 10, addirittura 18 anni. Ci battiamo contro tutto questo ogni giorno nelle aziende e l’8 e 9 giugno con i referendum su lavoro e cittadinanza”.