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Università: combattere la precarietà. Dieci anni dopo l’approvazione della Legge Gelmini, il Parlamento si appresta ad approvare un progetto di legge su “Norme in materia di reclutamento e stato giuridico dei ricercatori universitari e degli enti di ricerca, nonché di dottorato e assegni di ricerca”. Nonostante i propositi, il testo si pone in netta continuità con la precarizzazione del sistema universitario perseguito dalla legge Gelmini. Per questo motivo i sindacati si ritrovano oggi (14 giugno) alle 17.00 in piazza a Montecitorio per un presidio di protesta.
Si trattava, in effetti, di un intervento legislativo atteso da anni: la moltiplicazione delle figure precarie disposta dalla legge Gelmini, unita al taglio netto delle risorse trasferite a Università e Ricerca, ha infatti diminuito di oltre il 25% il personale di ruolo e più che raddoppiato il numero dei contratti a termine che rappresentano ormai oltre la metà del personale universitario della ricerca e della didattica.
"Nel 90% dei casi questa fetta significativa di personale viene espulsa dal sistema e, fatto ancor più grave, ciò avviene dopo anni di precarietà passati a risolvere le esigenze di didattica e ricerca degli atenei. Il tutto, in un contesto di verticalizzazione nei processi decisionali e una polarizzazione nella distribuzione dei fondi che crea disparità sempre più marcate", si legge in una nota delle sigle che hanno organizzato la manifestazione (Adi, Andu, Arted, Cisl Università, Flc Cgil, Rete 29 aprile, Università Manifesta)
L’impianto della proposta di legge che approda all’aula della Camera per i sindacati "conferma l’ineluttabilità di una precarietà lunga potenzialmente quasi 20 anni prima di una 'eventuale' immissione in ruolo, istituendo il 'nuovo' contratto da Ricercatore Tenure Track, senza eliminare gli assegni e delle borse di ricerca che rappresentano il paradigma fondato su rapporti di lavoro a forte dumping contrattuale, senza diritti e tutele, determinando una condizione complessiva che ci colloca fuori dai parametri europei nella ricerca".
Siamo di fronte, spiegano le sigle, "all’ennesima 'riforma a costo zero' in un contesto in cui le risorse a disposizione degli atenei per il reclutamento sono a tutt’oggi insufficienti. Inoltre il mancato investimento nell’università, unito a vincoli e barriere ipotizzati nella discussione in Commissione Cultura e presenti nella proposta, determina un’ulteriore espulsione di decine di migliaia di precari/e".
Tutto questo è "semplicemente inaccettabile". L’Università necessita di un’inversione radicale di rotta: "Un cambiamento che porti il nostro Paese in linea con gli altri grandi Paesi Europei, con un ingente ri-finanziamento del settore di almeno 2 miliardi di euro per programmare un reclutamento straordinario, in 4-5 anni, di almeno 30.000 posti di ruolo, attraverso una fase transitoria e un reclutamento ordinario, ciclico e progressivo, certo nei tempi, di almeno 5000 posti di ruolo a regime in grado di scardinare la guerra fra poveri che il Parlamento sta scatenando in una contrapposizione generazionale. Questi numeri in ingresso consentirebbero unicamente di ripristinare e mantenere un organico pari a quello del 2008, al di sotto della media europea del rapporto tra docenti stabili e popolazione, tra docenti stabili e numero di studenti".
Per chi protesta oggi in piazza "è indispensabile una riforma del reclutamento che superi l’arcipelago delle forme parasubordinate, lesive della dignità dei lavoratori e delle lavoratrici della ricerca, con l’introduzione di una figura unica pre-ruolo, che abbia una durata contenuta e in numero proporzionale agli sbocchi in ruolo, con diritti e tutele universali sulla base dei principi sanciti dalla Carta europea dei ricercatori".
Ma occorre anche "definire una visione di sistema complessivo, mandando in soffitta l’impianto tecnocratico del sistema di valutazione (Anvur, Asn, Vqr), perseguendo l’introduzione di un ruolo unico della docenza universitaria, per eliminare la competizione strutturale tra pari e che permette a tutto il personale il pieno riconoscimento della propria attività senza intrecci e confusione tra i percorsi di reclutamento e i processi valutativi, a domanda, di progressione stipendiale".
Insomma: "Combattere la precarietà, non le precarie e i precari".