Nei settori privati della Sicilia la maggior parte del lavoro è lavoro povero, con salari più bassi della media nazionale e dello stesso Mezzogiorno. Il 76,2% dei lavoratori siciliani ha redditi inferiori a 25mila euro lordi annui contro il 60,1 della media nazionale e il 74,6% della media del Mezzogiorno. Ancora più nel dettaglio la metà delle lavoratrici e dei lavoratori siciliani non raggiunge i 15 mila euro l’anno. Lo rivela uno studio della Cgil nazionale su “La questione salariale nel Mezzogiorno: un’emergenza nell’emergenza” che, su dati di fonte Inps, analizza la situazione del 2024 con l’esclusione del lavoro domestico e agricolo. 

Mannino, Cgil Sicilia: “Crescono il disagio sociale e l’emigrazione, soprattutto giovanile”

“Questi dati – dice il segretario della Cgil Sicilia, Alfio Mannino – la dicono tutta sull’inadeguatezza delle politiche nazionali e di quelle fallimentari del governo regionale che sbandiera una crescita del Pil che non ha riferimenti e ricadute né sull’apparato produttivo, sul quale non si è investito, e neanche sul lavoro. Tant’è che crescono il disagio sociale e l’emigrazione, soprattutto giovanile”.

Lo studio della Cgil analizza e compara i redditi per fascia a partire dai 5 mila euro. “Si capisce – osserva Mannino – come la riduzione delle aliquote Irpef della manovra nazionale non apporterà benefici ai lavoratori siciliani, ma il dato dà anche uno spaccato di un mercato del lavoro discontinuo, dell’incidenza del lavoro a termine e concentrato in settori dove le retribuzioni sono più basse. Di questa situazione a pagare il prezzo più alto sono le donne”.

“C’è un mondo del lavoro reale che è stanco della propaganda”

Secondo lo studio, il divario salariale tra Nord e Sud “è determinato da un minore numero di giornate medie retribuite (228 contro 247) e da una più alta incidenza di part time, lavoro a termine, discontinuo (56,5% Mezzogiorno, 45,6% Italia)”. “Il presidente della Regione spieghi ai siciliani il peso effettivo della crescita di cui parla – prosegue Mannino –. Dia conto del presunto miglioramento della loro condizione che, evidentemente, in assenza di politiche per lo sviluppo dell’apparato produttivo, non c’è e non potrà esserci. Spieghi eventualmente chi ha davvero tratto beneficio dalle sue politiche, perché c’è un mondo del lavoro reale che è stanco della propaganda e continua ad arrabattarsi con difficoltà crescenti. I numeri sono più forti e chiari della propaganda”.