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Mentre la maggioranza affronta la crisi di governo, c'è un altro Paese che vive lontano dai tavoli della politica. La situazione del lavoro nelle regioni italiane infatti non si sblocca. Nell'Italia del Covid le difficoltà sono traversali, da Nord a Sud della penisola: in queste ore, in particolare, sono due i territori che lanciano l'allarme attraverso il sindacato, segnalando una situazione drammatica che rischia ancora di peggiorare. La Liguria e la Puglia, in modo diverso ma simile, accendono i riflettori sulla questione dell'occupazione che non riprende. E chiedono alle istituzioni di agire al più presto.
Sul tema era intervenuto ieri il segretario generale della Cgil in un'intervista a Rainews 24, sottolineando la necessità di prorogare il blocco dei licenziamenti e andare verso una vera riforma degli ammortizzatori sociali. Questioni che verranno entrambe poste all'attenzione della ministra del Lavoro Nunzia Catalfo nell'incontro in programma oggi. Lo sottolinea lo stesso Maurizio Landini sulle pagine del quotidiano la Stampa: "Qui non è in discussione il futuro di Renzi o di Conte ma quello del Paese, della democrazia e della società. Non è la stagione delle tattiche ma della responsabilità e delle scelte. Per tutti. (...) S'impone di pensare alle persone, perché dietro ai numeri c'è gente in carne e ossa, ci sono vite, storie, sacrifici". C'è, appunto, il Paese reale.
Liguria, rilanciare gli investimenti pubblici e privati
In Liguria nei primi nove mesi del 2020 l’Inps ha rilevato una perdita di 58.871 assunzioni. I dati, elaborati dall’Ufficio economico della Cgil regionale,si riferiscono al numero di contratti attivati. Un solo lavoratore può essere titolare di più rapporti di lavoro, basti pensare agli stagionali, a molti lavoratori part-time o ai precari della scuola. A spiegare i dati è il responsabile Marco De Silva. Tutte le tipologie di contratto siano in calo rispetto ai primi nove mesi dell’anno precedente. Quello più marcato, con oltre 32 mila contratti in meno, riguarda le assunzioni a tempo determinato che rappresentano da sole oltre il 40% di tutte le assunzioni con contratto di lavoro dipendente. In totale, in Liguria mancano quasi 59 mila assunzioni toccando il livello più basso dal 2014. Da gennaio a settembre 2020 sono state 101.656 le assunzioni in Liguria, contro le 160.527 dello stesso periodo dell’anno precedente con una contrazione che investe tutte le tipologie contrattuali. La più colpita è il tempo determinato con una diminuzione del 44.4%: nell'anno pandemico molti contratti a termine non sono stati rinnovati o non sono proprio stati attivati.
Il quadro desta molte preoccupazioni, come sottolinea Federico Vesigna, segretario generale della Cgil ligure: “L’emergenza sanitaria si è tradotta in una forte contrazione delle assunzioni, che è proseguita anche per effetto della seconda ondata - afferma -. Dal punto di vista occupazionale il 2020 è stato un anno terribile e senza ammortizzatori sociali e blocco dei licenziamenti, fortemente chiesti dal sindacato, ci si sarebbe trovati davanti ad un vero e proprio disastro sociale. Fa presto ad arrivare il 31 marzo, se non ripartono gli investimenti il rischio collasso è alle porte – conclude -. Non è rinviabile il confronto sul Recovery Plan per utilizzare al meglio le risorse europee”.
Puglia: serve un patto per il lavoro e lo sviluppo
La Cgil pugliese chiede un patto per il lavoro e lo sviluppo sostenibile. Lo fa con i dati alla mano che certificano la crisi della regione. Occorre definire obiettivi, progettualità e interventi prioritari a valere sulle risorse del Recovery Fund, del React, della programmazione comunitaria dei prossimi sette anni. È la proposta avanzata dal segretario generale Pino Gesmundo al presidente Emiliano, nel corso della conferenza stampa di inizio anno. “Il presidente della Regione si faccia promotore di questa iniziativa, non è certo una stagione da uomini soli al comando quella che stiamo vivendo. Pensiamo che nel reciproco riconoscimento dei ruoli e nel rispetto dell’autonomia di ogni soggetto, una proposta che arrivi dalla sintesi delle idee e dei suggerimenti degli attori istituzionali e sociali possa avere più forza”.
Per la Cgil “dovrà essere uno strumento operativo nel confronto tra Regione, Province, Città metropolitana, Comuni, università, enti di ricerca, rappresentanza del mondo del lavoro, delle imprese, della cooperazione. Una sfida di partecipazione e democrazia e assieme un’assunzione collettiva di responsabilità nelle risposte da dare per migliorare la qualità della vita delle persone. Un sistema di relazioni che conduca alla condivisione di obiettivi e interventi”.
Una proposta che nasce dalla straordinarietà della fase storica: “Da un lato la profondità della crisi legata all’emergenza sanitaria, che si somma a ritardi e fragilità economiche e sociali preesistenti – spiega Gesmundo -, dall’altro per la incredibile disponibilità di risorse stanziate dall’Europa. L’Italia ha a disposizione 208 miliardi del Recovery Plan, 13,5 miliardi del React, le risorse del Fondo sviluppo e coesione, quelle per la politica agricola comunitaria. Occorre spenderli bene, intervenire sulle debolezze strutturali, proporre progetti credibili. Il sistema territoriale della Puglia deve svolgere un ruolo da protagonista nell’individuazione e programmazione delle priorità e degli interventi”.
Anche i dati della Puglia, come detto, destano apprensione. Una stima di perdita del Pil dell’11% nel 2020, 18mila posti di lavoro persi, 220mila lavoratori in cassa integrazione, un aumento di 35mila unità dei percettori di reddito di cittadinanza, 125mila in Puglia nel complesso. Oltre un quarto della popolazione regionale che vive nella fascia di povertà relativa, 54 tavoli di crisi aperti alla task force regionale per l’occupazione, che interessano 15mila lavoratori diretti e 4mila indiretti. Un valore delle economie illegali pari a 5,5 miliardi annui, in conseguenza del quale la Puglia – lo afferma l’Istat – è la regione con la più alta quota di rivalutazione del valore aggiunto sotto-dichiarato, pari al 9,7%. “Solo tra gennaio e settembre abbiamo avuto 100mila ore di cassa integrazione, quasi la metà ha interessato l’industria, un terzo i servizi - aggiunge Gesmundo -. Ci sono settori che hanno pagato di più di altri, pensiamo a quello della cultura e dello spettacolo, così come il dato sull’occupazione in calo certifica la diffusione di forme di lavoro precario e a termine, che con il blocco dei licenziamenti sono andati a scadenza senza avere il rinnovo".