L’obiettivo ce lo ha dato l’Europa: arrivare a consumo di suolo zero entro il 2050, allinearlo alla crescita demografica e non aumentare il degrado del territorio entro il 2030. Anche gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu indicano target ambiziosi: raggiungere un “land degradation neutral world” come elemento essenziale per mantenere le funzioni e i servizi ecosistemici e assicurare l’accesso universale a spazi verdi e spazi pubblici sicuri, inclusivi e accessibili.

Invece l’Italia sta andando in direzione diametralmente opposta: la percentuale di consumo di suolo non è in diminuzione, anzi. “Questo comporta diverse criticità – dice Arcangelo Francesco Violo, presidente dell’ordine nazionale dei geologi -. Innanzitutto si edifica in aree che presentano problemi di tipo idraulico e idrogeologico, si irrigidiscono i corsi dei fiumi per creare spazio all’abitato”.

Quali sono le conseguenze?
L’impermeabilizzazione del territorio è una delle concause che rende ancora più devastanti gli eventi meteorici estremi, perché non viene applicato il principio dell’invarianza idraulica. Quando si costruisce, i sistemi idrogeologici e idraulici non dovrebbero variare rispetto a prima dell’intervento dell’uomo ma questo criterio non viene rispettato. Ciò vuol dire che negli ultimi settanta anni abbiamo profondamente modificato il regime delle acque sia sotterraneo che superficiale, abbiamo costruito in modo disordinato e speculativo, e gli effetti dannosi e negativi, acuiti dai cambiamenti climatici, li stiamo vedendo e vivendo oggi.

Il fenomeno del consumo di suolo è uniforme al Nord come al Sud?
Al Settentrione è più spinto, con attività di pianificazione non corretta e una maggiore antropizzazione rispetto al Meridione: abitazioni civili, strutture industriali, sfruttamento agricolo dei territori hanno invaso intere aree. Al Sud invece c’è un’incidenza più alta dell’abusivismo, ma le problematiche sono presenti in tutta l’Italia. Lo abbiamo visto con l’ultima alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna, in una zona che era ad elevato rischio idraulico e idrogeologico, per eccesso di urbanizzazione e antropizzazione.

Che cosa andrebbe fatto, quindi?
Per mettere in sicurezza l’Italia è necessario attuare una serie di azioni integrate, strutturali e non, ma soprattutto fare piani di adattamento pluriennali. Tra gli interventi strutturali ci sono la sistemazione degli argini e la costruzione di vasche di laminazione e di accumulo che riescano a immagazzinare l'acqua quando è in eccesso e a rilasciarla quando manca. Tra quelli non strutturali, l’aggiornamento dei piani territoriali, di protezione civile e di emergenza con continua informazione ai cittadini, il controllo del territorio con strumentazione tecnologica e innovativa, i presidi territoriali che consentono di intervenire rapidamente. Il problema è così vasto nel nostro Paese, per le caratteristiche intrinseche del territorio, per la pianificazione disordinata portata avanti nei decenni, per le conseguenze dei cambiamenti climatici, che i soli interventi strutturali non bastano.

Per fare tutto questo, però, ci vuole una legge, giusto?
C’è una norma pronta, ferma nei cassetti, che potrebbe portare all’azzeramento del consumo di suolo e a promuovere elementi di rigenerazione, ad agire sul costruito recuperando terreni, aree industriali dismesse, zone contaminate. Dobbiamo recuperare il patrimonio migliorandone la qualità, adeguandolo dal punto di vista sismico, energetico, di impatto ambientale. 

L’impressione è che alla professionalità e al parere dei geologi si ricorra sempre quando si verificano disastri, quando le tragedie si sono consumate e non altrettanto spesso prima. È così?
Negli ultimi anni in chi governa e amministra c’è una maggiore consapevolezza dell’importanza di questi temi e della nostra professione, del ruolo dei geologi nella pianificazione e nella prevenzione, veniamo interpellati per gli iter normativi che riguardano settori di nostra specifica competenza. Certo, da un punto di vista mediatico veniamo consultati dopo i disastri, ci chiedono pareri tecnici ma gradiremmo che la discussione ci potesse coinvolgere quando si tratta di programmare il nostro territorio, svilupparlo in modo sostenibile.