Ines Bedeschi non ha neanche trent’anni quando entra nella Resistenza. La sua casa è un punto di riferimento per i partigiani.

“Sin dall’8 settembre 1943 - recita la sua biografia - aveva preso parte alla Guerra di liberazione nelle file della Resistenza emiliana. Nell’aprile del 1944, quando a Bologna si costituì il Comando unificato militare Emilia Romagna (Cumer), Ines Bedeschi, con il nome di Bruna, ne divenne una delle più valorose staffette. Imponendosi per intelligenza e audacia, Bruna portò a termine, sin quasi alla Liberazione, numerosi e delicati incarichi di fiducia. Catturata durante una missione, la donna fu barbaramente torturata e infine uccisa dai nazifascisti”.

È il 23 febbraio 1945. La tengono prigioniera e la torturano per settimane. Lei, però, non parla. E giorno dopo giorno per un mese il suo corpo viene sottoposto a sevizie e torture. “Non ho parlato e non parlerò” continua a dire. Sarà fucilata il 28 marzo 1945. Insieme a lei vengono condannati a morte Gavino Cherchi (34 anni), insegnante e partigiano sardo, e Alceste Benoldi (36 anni), militare e partigiano. Anche i loro corpi saranno gettati nel Po e mai più ritrovati.

L’11 settembre 1968, con decreto presidenziale, le viene concessa la medaglia d’oro al Valor Militare con la seguente motivazione: “Spinta da un ardente amor di Patria, entrava all'armistizio nelle formazioni partigiane operanti nella sua zona, subito distinguendosi per elevato spirito e intelligente iniziativa. Assunti i compiti di staffetta, portava a termine le delicate missioni affidatele incurante dei rischi e pericoli cui andava incontro e della assidua sorveglianza del nemico. Scoperta, arrestata e barbaramente torturata, preferiva il supremo sacrificio anziché tradire i suoi compagni di lotta”.

A Conselice, sua città natale, è visibile ancora oggi in Corso Garibaldi una lapide a lei dedicata il cui testo è stato redatto dalla partigiana e scrittrice Renata Viganò:

Ines Bedeschi era nel fiore della vita
e tutta intera voleva viverla
invece la dette da partigiana
ad ogni cosa più cara rinunciò che non fosse la lotta
dalle sue valli e monti di Romagna
andò dove era maggiore il bisogno
la presero i nazisti feroci e spaventati
la tortura non strappò dalla sua bocca rotta
neppure un nome di compagno
infuriati i tedeschi la portarono sulla riva del po
ma anche in un giorno di primavera che era fatica morire
Ines Bedeschi non sentì la voglia
di salvarsi col tradimento.