L’Italia è il Paese delle calamità naturali. Terremoti, alluvioni, frane, nubifragi causano ogni anno vittime e danni. 149 disastri dal secondo dopoguerra al 2018, secondo uno studio di Prometeia, e quasi 310 miliardi di euro spesi dallo Stato per porvi rimedio. Solo nel 2018 gli eventi estremi provocati dai cambiamenti climatici hanno causato 51 morti e 4,18 miliardi di euro di perdite, stando al Global climate risk index 2020. Il nostro è un territorio fragile e particolarmente esposto ai rischi climatici: le aree ad elevato pericolo di frana interessano 1,2 milioni di persone, quelle soggette ad alluvioni riguardano 1,9 milioni di cittadini, 21 milioni gli italiani che convivono con un alto rischio sismico (dati Ispra e Protezione civile).

“Eppure non abbiamo una legge quadro per queste emergenze, per affrontarle e gestire, e neppure per gestire le ricostruzioni - afferma Laura Mariani, responsabile politiche per la ricostruzione e la prevenzione antisismica e dei rischi naturali della Cgil, che lavora su questi temi dal 2016, quando la confederazione elaborò un vademecum sollecitando governi e istituzioni -. E il fatto che manchino delle linee guida nazionali ha portato all'emanazione di nuove norme a ogni evento calamitoso, procedendo per decreto e ricominciando ogni volta da capo. Invece si potrebbe e dovrebbe attingere dalle esperienze pregresse, dagli errori e dalle tante situazioni positive per una legislazione uniforme che tratti i cittadini tutti allo stesso modo”. Per questo la Cgil ha elaborato un documento con le sue “Proposte per una legge quadro per la riduzione dell’impatto delle calamità naturali, per la qualità delle ricostruzioni, per la salvaguardia dai rischi”, presentato in un incontro pubblico il 9 luglio all’università dell’Aquila.

Un’iniziativa che prende le mosse da una considerazione di fondo: procedendo sempre in maniera estemporanea e senza una visione strategica, nel corso dei decenni si è finito per intervenire nei territori in modo diverso, trattando quindi meglio alcuni e peggio altri. Alla faccia del principio di democraticità, che invece è essenziale per codificare dei diritti in presenza di deroghe all’ordinamento, connesse a situazioni eccezionali. Secondo la confederazione, per arrivare a un'unica cornice giuridica che prescinda dalle gestioni straordinarie e superi la differenziazione delle regole, occorre sviluppare alcuni contenuti. Innanzitutto una fase di salvaguardia, con l’istituzione di un comitato operativo per la previsione e prevenzione, che eviti duplicazione di enti e frammentazione di competenze e conflitti istituzionali: presieduto dal presidente del Consiglio, dovrebbe garantire l’unitarietà di indirizzo politico-amministrativo nelle varie azioni e potrebbe avere al suo interno un osservatorio per verificare l'impatto delle politiche. Quindi una fase straordinaria di gestione del primo periodo con le modalità definite in fase di salvaguardia e una fase di ricostruzione e rilancio, per la gestione ordinaria tramite bandi, attivazione di misure fiscali e contributive, standard per i finanziamenti, forme di anticipazione della liquidità e del credito, norme di sicurezza nei luoghi di lavoro, procedure per evitare la delocalizzazione di imprese e proteggersi da infiltrazioni malavitose.

“Inoltre, la commissione Grandi rischi, che è formata quasi unicamente da figure professionali capaci di leggere l’ambiente e le pericolosità naturali, è priva di quelle competenze che si occupano dell’uomo e del legame tra gruppo sociale e territorio – afferma Mariani -. Vanno rivisitati i contenuti, il metodo e lo strumento stesso dei piani di Protezione civile. Per esempio, andrebbero indagati anche altri danni, oltre a quelli di vite perse e di edifici distrutti, come il ‘danno sociale’, lo sventramento di un territorio, la perdita di posti di lavoro, l’interruzione delle attività economico-produttive. E creati due filoni, un piano di assistenza alla popolazione e una programmazione preventiva”.

Oggi la filiera delle competenze dell’azione pubblica continua a non essere ben definita: ci sono sovrapposizioni e ambiguità che inducono alla deresponsabilizzazione o al principio di delega di chi è chiamato a governare i processi. Come pure sono lacunose le regole per pianificare la prevenzione o per intervenire sia in prima fase di emergenza sia nella ricostruzione. Secondo la Cgil, le linee guida dovrebbero quindi occuparsi di alcuni temi centrali, da quello della governance, del coordinamento e dell’intervento a quello del modello di soccorso, dalle procedure per fronteggiare l’evento a vincoli e clausole per le imprese impegnate nella ricostruzione. E poi c’è la questione della legalità. Per la confederazione sono indispensabili protocolli nazionali e territoriali, che prevedano misure di prevenzione e di contrasto alle possibili infiltrazioni criminali e mafiose, l’obbligo per le aziende dei documenti che attestino sia la regolarità contributiva che la congruità dell’incidenza della manodopera impiegata sia per appalti di lavori pubblici che privati, solo per citare alcuni punti fermi.

Ma ancora non basta. Le proposte per una legge quadro elaborate dalla Cgil affrontano anche i temi della prevenzione e del monitoraggio del territorio, che hanno bisogno di una pianificazione di ampio respiro, di strategie che devono articolarsi nel breve, medio e lungo termine e di investimenti adeguati, con un approccio multidisciplinare che guardi all’intero territorio. “Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza vengono previsti alcuni interventi, volti all’immediato e a situazioni di emergenza, non risolutivi e con risorse non adeguate per monitorare e manutenere in modo efficace il territorio dai rischi naturali – dice ancora Laura Mariani -. Anche la politica del SuperBonus 110%, sulla quale lo Stato ha impegnato ampie risorse per la riqualificazione sismica ed energetica degli edifici, non può sostituire un piano di prevenzione nazionale, relegando le scelte ai singoli proprietari, non stabilendo indirizzi e priorità nelle aree a maggiore pericolosità. Il tema della prevenzione necessita di un cambio culturale, ancora assente nel nostro Paese, che partendo dalle condizioni di fragilità e vulnerabilità dei territori, diventi una questione nazionale come grande emergenza del Paese”.