Fermare tutte le produzioni che non sono strategiche nell'emergenza coronavirus non significa azzerare l'attività dell'intero settore aerospazio-difesa. Tuttavia, pensare di continuare a produrre missili o veivoli da guerra in un momento come questo è “semplicemente scandaloso”. L'aggettivo ce lo mette Claudio Gonzato, responsabile del settore difesa-aerospazio per la Fiom Cgil nazionale, profondo conoscitore delle industrie di questa filiera, che è composta in Italia da una decina di grosse realtà (a partire da Leonardo, che da sola ha 30mila addetti) e da una miriade di piccole e medie imprese della fornitura e sub-fornitura.

“Ad oggi – ci spiega Gonzato – anche grazie agli accordi che abbiamo fatto con i gruppi maggiori, l'attività produttiva, il manifacturing in senso stretto, è ridotta ad un 30-35%, mentre c'è un ampio ricorso all smart-working per tutte le attività che lo consentono”. Ed è proprio sulla tipologia di attività da proseguire che si sta giocando una partita fondamentale, che coinvolge migliaia di lavoratrici e lavoratori del settore.

“Ci sono attività effettivamente essenziali nell'emergenza sanitaria che stiamo affrontando”

“Ci sono attività effettivamente essenziali nell'emergenza sanitaria che stiamo affrontando – chiarisce ancora il sindacalista della Fiom - ad esempio, quelle di supporto alle forze dell'ordine, ai vigili del fuoco, alla Croce Rossa e quindi, le manutenzioni e revisioni di aerei ed elicotteri, le telecomunicazioni, le trasmissioni satellitari e via dicendo”. Insomma, la parte “civile” delle produzioni.

Poi però ci sono anche altre attività che stanno ancora andando avanti e che “di strategico in questo momento – osserva Gonzato – hanno solo il profitto”. Su questo punto la posizione delle tute blu Cgil, come detto, è molto chiara: fermare tutto ciò che non è necessario, concentrare risorse e lavoro solo sulle attività di assistenza civile, mettere al primo posto la salute e la sicurezza di lavoratrici e lavoratori.

La scorsa settimana un appello in questa direzione è arrivato anche dal mondo dell'associazionismo. In particolare, Sbilanciamoci, Rete Disarmo e Rete della Pace hanno chiesto di bloccare subito qualsiasi produzione di armamenti. “Ci si può ammalare per produrre mascherine e ventilatori per la terapia intensiva, ma per un F35 e un mitragliatore, proprio no”, ha osservato Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci.

“Ci si può ammalare per produrre mascherine e ventilatori per la terapia intensiva, ma per un F35 e un mitragliatore, proprio no”

Ora la partita si sposta sui territori e la responsabilità delle scelte è in capo ai prefetti. Sono loro, infatti, che, confrontandosi anche con le organizzazioni sindacali, dovranno decidere cosa è davvero strategico – e si dovrà quindi continuare a produrre – e cosa invece non lo è ed andrà fermato e gestito con gli strumenti a disposizione.

Qui si apre un altro discorso: la prospettiva di un settore, quello dell'aerospazio (in particolare la parte civile), che sarà investito da questa emergenza in maniera probabilmente inedita. “Temo che stavolta non ci troveremo di fronte a qualche rallentamento, come è stato dopo l'11 settembre o con la crisi del 2008, ma ad un vero e proprio shock per il settore – osserva ancora Claudio Gonzato – e questo perché non è possibile sapere quale sarà il quadro del trasporto civile nel mondo nei prossimi mesi e anni. Diverse compagnie potrebbero addirittura fallire e comunque di certo nessuno in questo scenario per un po' di tempo comprerà aeroplani”.

Un esempio calzante, secondo il dirigente sindacale, è quello di Avio Aero del gruppo General Electric, che produce parti per motori aeronautici: qui i segnali di rallentamento sono già evidenti, non è nemmeno escluso che alcune compagnie decidano di revocare gli ordini già fatti, vista la mole di aerei a terra. Non a caso in Avio è già partita la cassa integrazione.

“Nessuno in questo scenario per un po' di tempo comprerà aeroplani”

Ma non si tratta di un caso isolato: “Con gli accordi che abbiamo siglato siamo riusciti fin qui a coprire le chiusure e i rallentamenti con istituti contrattuali e senza penalizzare i lavoratori – conclude Gonzato – Tuttavia, questa fase potrà durare fino a Pasqua, non oltre. Poi vanno trovati strumenti nuovi, per un periodo che temo sarà lungo. Quello che vogliamo sia chiaro alle aziende è che, con il senso di responsabilità che il sindacato ha sempre dimostrato, quando sarà necessario ripartire, noi faremo la nostra parte. Ma oggi quello che conta è solo la salvaguardia dei lavoratori, delle loro famiglie e delle nostre comunità”.