Quando si fissano degli obiettivi bisogna raggiungerli, o fare di tutto per raggiungerli. Nello sradicamento della povertà estrema, l’Italia non lo sta facendo. Ed è anche indietro nella valorizzazione del lavoro delle donne, ancora troppo impiegate in occupazione informale, nel terziario, in contratti a tempo parziale, insomma sottopagate. I progressi sono lentissimi, poi, nell’affrontare i cambiamenti climatici, e nell’inserire questa priorità tra le politiche e le strategie nazionali.

Non sono temi scelti fra i molti della difficile contemporaneità da governare. Sono alcuni dei 17 Obiettivi per uno sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni Unite e inseriti nell’Agenda 2030 adottata da tutti gli Stati membri dell’Onu nel 2015. Il 2030 non è lontano, anche per questo i sindacati italiani (Cgil, Cisl e Uil) hanno curato una ricognizione in un rapporto unitario sullo stato di attuazione degli Obiettivi in Italia.

“Il rapporto è stato utilizzato come documento di orientamento dalla Confederazione internazionale dei sindacati (Csi) durante la partecipazione al Forum politico di alto livello delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che si riunisce a New York in questi giorni”, spiegano i responsabili delle aree internazionali delle tre confederazioni, Salvatore Marra, Giuseppe Iuliano e Cinzia Del Rio. Il Forum in questione è un organo sussidiario dell’Onu che esamina l'impegno e lo stato di avanzamento dell'Agenda 2030.

I tre dirigenti sindacali ricordano che la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile è stata approvata nel 2017 dal governo italiano, e riguarda cinque aree strategiche dell’Agenda 2030: persone, pianeta, prosperità, pace e partnership. I sindacati partecipano a tutte le consultazioni che riguardano le aree strategiche, e a dicembre 2021 hanno sottoscritto un protocollo per l’attuazione nazionale del Piano di ripresa e resilienza dell’Unione Europea (il ben noto Pnrr), che “prevedeva la partecipazione e un dibattito preliminare con i sindacati sugli investimenti e sulle riforme”.

Il Pnrr – per Cgil, Cisl e Uil – resta un potenziale “importante strumento”, con le sue “considerevoli risorse economiche e finanziarie”, per il raggiungimento degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile. Probabilmente lo strumento che potrebbe accelerare gli sforzi e risolvere parte delle lentezze. Che – come rileva il rapporto dei sindacati e come si scriveva sopra – riguardano prima di tutto la lotta alla povertà estrema, sulla quale “in Italia resta molto da fare”.

Infatti, “dall’inizio della pandemia di Covid-19 – si legge nel rapporto –, la povertà assoluta è aumentata: nel 2021 colpiva il 9,4 per cento della popolazione, soprattutto minori (13,5 per cento) e giovani adulti (11,3 per cento). Benché sia più elevata al Sud, anche al Nord è in netto aumento dal 2019. Dilaga anche la povertà lavorativa”.

Altro vulnus nostrano, prosegue il rapporto: “Le donne prevalgono nel terziario e negli impieghi informali o part-time. In Italia la pandemia ha colpito duramente le donne, acuendo le disuguaglianze di genere”. L’obiettivo di riconoscere e valorizzare l’assistenza e il lavoro domestico non retribuiti (fa parte dell’Agenda 2030) “non è stato ancora realizzato. In Italia le donne dedicano il 13,5 per cento del loro tempo a tali attività e i servizi per l’infanzia sono insufficienti”.

Anche la piena partecipazione delle donne e le pari opportunità faticano: “Nel 2018 – scrivono gli esperti di Cgil, Cisl e Uil – solo il 23,2 per cento delle posizioni manageriali (dirigenti e quadri) era occupato da donne, anche se nell’ultimo decennio è aumentata la presenza femminile nei consigli di amministrazione e in Parlamento grazie alla normativa sulle quote rosa”.

Tra gli altri punti deboli individuati nel percorso verso il 2030 (qui si può leggere il rapporto integrale): l’occupazione irregolare tra le più alte d’Europa, la vulnerabilità professionale, i bassi salari anche nell’occupazione dipendente, i bassi tassi di occupazione (62,6 per cento, lontano dall’obiettivo a lungo termine del 78 per cento fissato dal Green Deal europeo), gli alti livelli di precarietà e di lavoro part-time involontario, l’inoccupazione e non formazione giovanile (i Neet sono ormai il 23,3 per cento dei giovani), la vulnerabilità dei migranti nonostante la legge sul caporalato.

“Desta preoccupazione – osservano i sindacati italiani – il lento progresso relativo” alla necessità di “integrare le misure di cambiamento climatico nelle politiche, strategie e pianificazione nazionali. L’Italia è già gravemente colpita dai cambiamenti climatici. Il governo deve ancora adottare il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici previsto dalla relativa strategia dell’Ue varata nel febbraio 2021. Inoltre, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (2020) deve essere rivisto per raggiungere gli obiettivi Ue. Anche il Pnrr e il Piano per la transizione ecologica (2021) presentano carenze in termini di politiche industriali e investimenti necessari”, ribadisce il rapporto.

I sindacati raccomandano “una maggiore partecipazione delle parti sociali” alle politiche nazionali che riguardano gli Obiettivi dello sviluppo sostenibile. Ed esortano il governo italiano ad “affrontare le cause della povertà, a definire percorsi di inclusione sociale e lavorativa per assistere appieno le persone in condizioni di povertà”.

Cgil, Cisl e Uil chiedono che si amplino “i regimi di protezione sociale” per “migliorare il reddito minimo garantito, che ora esclude molti bisognosi”, che si formulino “leggi per combattere la precarietà”, usando il Pnrr per promuovere “una crescita dell’occupazione stabile e di qualità per tutti”.

Altre priorità: rafforzare la contrattazione collettiva a livello nazionale e aziendale; garantire la tassazione progressiva per tutte le fasce di reddito; rafforzare il sistema assistenziale; rinnovare le politiche nazionali per i giovani e garantire risorse adeguate, con un patto globale per la gioventù; estendere l’impiego del bilancio di genere a tutti i livelli della pubblica amministrazione; garantire politiche a favore di chi svolge lavori pesanti o pericolosi e un più stretto rapporto tra rappresentati dei lavoratori per la sicurezza e le istituzioni; attuare le raccomandazioni dei sindacati per un’equa transizione.