La crisi afghana, con l'enorme copertura mediatica ottenuta dalla carambolesca evacuazione di migliaia di persone dall'aeroporto di Kabul, ha riaperto nel dibattito pubblico italiano ed europeo la il tema dell'accoglienza di chi fugge da guerra e disperazione. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Massafra, segretario confederale della Cgil.

Il ritiro della presenza militare occidentale in Afghanistan, la chiusura delle sedi diplomatiche e la presa definitiva del potere da parte dei Talebani sono l'ultimo atto del dramma di un popolo abbandonato a se stesso da decenni. L’Occidente ne esce a pezzi. Ma al momento l’urgenza è soprattutto umanitaria, come bisogna affrontarla?

Di certo, il tema dell'accoglienza va inquadrato nelle evidenti responsabilità di chi ha determinato questa situazione nel corso dei decenni passati. La crisi attuale è infatti figlia di scelte politiche e atteggiamenti sbagliati, non solo degli Stati Uniti ma dell'intera comunità internazionale. Come d'altronde accade in tutti i Paesi da cui le persone fuggono per disperazione. E non fa differenza se questa disperazione sia frutto di una crisi economia o di una guerra. L'accoglienza va messa in atto senza fare distinzioni. Lo diciamo da anni. Però quello che sta succedendo in questi giorni ci offre un'opportunità. Perché oggi l'opinione pubblica è focalizzata sull'Afghanistan, con sentimenti di indignazione e di disponibilità ad occuparsi della questione. I dramma di quel popolo non nasce certo a Ferragosto, ma oggi c'è una finestra aperta. E che rischia di chiudersi a breve, quando il regime talebano si sarà assestato e l'attenzione del mondo calerà. Al contrario, il tema dell'esodo dei profughi continuerà a crescere a dismisura. Noi dobbiamo quindi porre un'attenzione costante su come questa vicenda sarà gestita nei prossimi mesi, quando in molti si saranno dimenticati di quello che è accaduto in questi giorni.

Agire oggi senza perdere di vista il futuro di queste persone, quindi?

Sì, noi dobbiamo individuare da subito strumenti di gestione della crisi che siano duraturi nel tempo. Attualmente ci stiamo impegnando sull'emergenza, sollecitando le istituzioni italiane ed europee sul tema dell'accoglienza immediata e sulla gestione dei flussi di profughi. Ma questa attività va inquadrata in un tema storico, quello della redistribuzione tra i paesi europei, per garantire che i flussi siano coordinati in maniera equa. Il soccorso attraverso i ponti aerei, che finora ha funzionato molto bene, va insomma integrato con il soccorso di tutti coloro che stanno fuggendo dall'Afghanistan, e di chi era già in esodo. E che magari oggi è ancora bloccato davanti a qualche frontiera sulla rotta balcanica. Bisogna intervenire favorendo facilitazioni burocratiche per chi è già in viaggio, insomma. Faccio n esempio: ci sono persone che hanno chiesto da tempo di poter partire e che erano in attesa del visto. Ma a Kabul l'ufficio visti è chiuso da oltre un anno. Persone che magari si trovano già in Pakistan, in Turchia o in Iran, e non arriveranno mai da nessuna parte perché sono fuggite prima della presa del potere da parte dei Talebani. I corridoi umanitari vanno quindi attivati anche dai paesi confinanti, che non danno certo molte garanzie su questo fronte, e vanno presidiati dalla comunità internazionale. E poi bisogna accelerare sui ricongiungimenti familiari, dando seguito alle direttive europee su questo tema. Perché se continuiamo a seguire i tortuosi schemi burocratici che ben conosciamo, migliaia di uomini, donne e bambini finiranno dispersi, in un limbo senza fine.

Sul piano internazionale, l’Italia deve essere di stimolo per l'Europa per organizzare una politica di corridoi umanitari. L’Europa dovrà essere anche pronta per aiutare i paesi vicini che saranno investiti da ondate di profughi. Sul piano interno è invece cruciale che l’Italia mantenga un presidio diplomatico per facilitare le richieste di asilo, e poi che stimoli l'accoglienza diffusa nel sistema Sai (ex Sprar) al posto degli affollati Cas. C'è una circolare del ministero dell'Interno che potenzia del 15% il sistema Sai, dobbiamo portare ancora più in alto questa percentuale, permettendo una maggiore redistribuzione sul territorio italiano. In questo senso è lodevole la posizione dell'Anci e di diverse Regioni che hanno subito manifestato la disponibilità ad accogliere. Dobbiamo insomma mettere in atto e potenziare gli strumenti che già abbiamo a disposizione. Ripeto: l'Afghanistan ha messo tutti d'accordo, perché oggi è difficile dire di no, ma il problema è sempre lo stesso, è strutturale. E si ripresenterà.

Cosa sta facendo la Cgil?

Sul piano politico, insieme al Tavolo asilo di cui siamo promotori, continuiamo a stimolare le istituzioni competenti per accogliere in sicurezza i profughi afghani. Ma allo stesso tempo stiamo preparando sul territorio azioni di sostegno molto concrete per chi arriva. L'obiettivo è offrire la nostra collaborazione alle amministrazioni e alle associazioni locali, perché si faccia rete e sia assicurata accoglienza e integrazione. Le Camere del lavoro e le strutture regionali si faranno promotrici per far convocare i tavoli di contrattazione con gli enti locali e i consigli territoriali sull'immigrazione per un'accoglienza dignitosa e per la creazione di percorsi di integrazione. Vogliamo stipulare accordi e protocolli per il potenziamento della rete di accoglienza Sai, mettendo in campo anche le nostre capacità di tessere alleanze e sinergie con il mondo del terzo settore. Insomma, mettiamo a disposizione le nostre strutture, il nostro sistema di servizi, per rendere meno complessi i percorsi burocratici per il rilascio dei permessi di soggiorno e l'accesso al sistema di welfare. Le Camere del lavoro, molte delle quali già attive su questo fronte, favoriranno l'accoglienza e l'integrazione su tutto il territorio nazionale. È il momento di agire. E noi non ci tiriamo certo indietro.