Semplificare, liberalizzare, velocizzare. Queste le parole d’ordine che si vogliono alla base del nuovo Codice di contratti pubblici varato lo scorso 28 marzo dal governo Meloni. Velocità però non sempre è sinonimo di qualità, e poi non è affatto detto che il risultato finale di queste nuove norme accelererà davvero la realizzazione delle opere legate al Pnrr e non.

Cgil: un passo indietro

“È un vero e proprio salto all’indietro, una controriforma che elimina, di fatto, gli aspetti qualificanti nelle procedure di appalto ispirate al principio di trasparenza, alla non discrezionalità, alla correttezza e alla libera concorrenza tra le imprese”. È questo il giudizio della Confederazione di Corso d'Italia. Ed è bene ricordare che nel corso degli anni più volte si è messo mano alle regole che sovrintendono agli appalti e una delle cause della lentezza è anche il cambio frequente di norme. Il testo superato dal Decreto legislativo targato Salvini aveva punti fermi e regole che rendevano trasparente il processo decisionale e attuativo degli appalti, limitava l’uso del subappalti e introduceva la clausola sociale che garantiva diritti a lavoratori e lavoratrici.

Uso spregiudicato delle deroghe

Enti locali, stazioni appaltanti e imprenditori hanno bisogno di regole certe e stabilità. Le norme appena varate invece si fondano su “una gestione del governo degli appalti pubblici improntata a una visione perennemente emergenziale e straordinaria al fine di giustificare l’uso spregiudicato di un sistema derogatorio, deregolatorio e commissariale, cancellando, come segnalato dall’Anac, la sostanza dell’appalto pubblico che per essere tale deve avere come elemento centrale l’evidenza pubblica, costituita dal bando di gara, dalla sua pubblicità e dalla partecipazione effettiva delle imprese ai bandi pubblici”, avverte sempre la Cgil.

Niente più gare

E per capire quanto affermano da Corso d'Italia basti pensare che ben oltre il 90% delle opere da ora in poi non passerà più per bandi di gara, ma verranno realizzate attraverso affidamento diretto o procedura negoziata. E i numeri non sono degli uffici studi sindacali ma dell’Anac, l’agenzia nazionale anticorruzione. “Ritornano i famigerati elenchi delle cosiddette imprese 'fiduciarie' che sono state da sempre l’anticamera delle procedure opache e discriminatorie, incubatori di veri e propri comitati d’affari - sottolinea il sindacato -. L’aspetto peculiare diventa l’appalto integrato, svuotando la competenza e il ruolo delle stazioni appaltanti che diventano entità subalterne e serventi, affidando all’impresa la progettazione e l’esecuzione dell’appalto per la realizzazione di opere, attraverso una progettazione di massima che dà nuovamente la possibilità di procedere con le infinite varianti in corso d’opera e con la consueta lievitazione dei prezzi”.

Meno legalità, meno sicurezza

Insomma nel Paese in cui ogni anno l’economia illegale “incuba” 200 miliardi, si allentano le procedure di salvaguardia rispetto a corruzione e rischio di infiltrazione della criminalità organizzata. Non solo. Introducendo di nuovo il subappalto a cascata il rischio dell’aumento del lavoro nero è più che reale. Lavoro nero e maggiore insicurezza sul lavoro. Giova ricordare che sono propri i cantieri i luoghi di lavoro con il maggior numero di incidenti, e di infortuni mortali, e mentre a parole il governo afferma di volere intervenire per frenare la piaga delle morti sul lavoro, contemporaneamente si incentiva la logica del risparmio sul costo del lavoro, che significa ridurre le risorse per la sicurezza.

Rischio di sperpero di denari pubblici

Sottolinea la Cgil: “Si presenta nuovamente il rischio di spendere male le risorse pubbliche che sono state messe a disposizione dal Pnrr e dai fondi comunitari che tra l’altro avevano l’obiettivo, attraverso alcune condizionalità, di perseguire la qualità del lavoro e dei contratti, nonché di incentivare l’assunzione delle donne e dei giovani, in modo particolare nel Mezzogiorno. Nulla di tutto questo si verificherà, anzi verrà data la possibilità di derogare. Nel nuovo Codice degli appalti, infatti, è stato cancellato il riferimento normativo per l’applicazione delle pari opportunità e sul divieto di discriminazione nei rapporti economici”.

La mobilitazione

Lo scorso 1 aprile in molte città con gli edili di Cgil e Uil in piazza è cominciata la mobilitazione contro norme giudicate sbagliate e pericolose: “Ci batteremo contro il nuovo Codice che peggiorerà le condizioni di lavoro e i diritti dei lavoratori, per difendere le conquiste delle nostre lotte, come l’obbligatorietà delle clausole sociali a difesa della continuità occupazionale, la non ribassabilità dei costi della manodopera, il Durc di congruità della manodopera, la parità di trattamento e stesso contratto per lavoratori in appalto e subappalto”.

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