“La qualità dei servizi è la garanzia di un diritto fondamentale della cittadinanza, il diritto alla salute, e parte dall’aumentare e qualificare il personale pubblico. Per farlo alla sanità servono due cose: accrescere le risorse del Fondo sanitario nazionale e lavorare a una riorganizzazione del sistema toscano”. A dirlo Paola Galgani, segreteria Cgil Toscana, durante l’assemblea di quadri e delegati dell’organizzazione oggi, 15 marzo, al Centro Rogers di Scandicci, provincia di Firenze. Una iniziativa dedicata alla discussione sulla situazione della sanità, dal livello dei servizi offerti ai cittadini fino alla condizione di chi ci lavora.

“Il sistema sanitario toscano – ha detto Paola Galgani – resta con indici di qualità superiori a tante altre Regioni e come uno dei sistemi a più marcata impronta pubblica, e proprio per questo la Toscana è tra le Regioni più penalizzate dalla mancanza di un adeguato finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale – già fortemente indebolito negli ultimi trent’anni – da parte del Governo. Il punto centrale è qui. Senza un adeguato finanziamento nazionale, gli interventi regionali sono insufficienti: il pericolo è non avere più un sistema sanitario nazionale per come l’abbiamo conosciuto, su questo va fatta una battaglia politica – noi abbiamo fatto già scioperi, mobilitazioni, raccolte firme – per rivendicare più risorse. Il Governo nell’ultima finanziaria conferma una progressiva riduzione del finanziamento in rapporto al Pil e allo stesso tempo alimenta un sistema fiscale che, oltre a non recuperare risorse dall’evasione, avvantaggia i redditi più alti. La leva fiscale è fondamentale per poter garantire i servizi, va applicata in maniera equa e progressiva come da Costituzione”.

“Vogliamo difendere, rafforzare e migliorare la sanità toscana – ha aggiunto la segretaria regionale Cgil –. La Regione eroga tantissime prestazioni di grande qualità ma la dimensione quantitativa non basta a garantirne l’efficacia. Lo dimostrano le sofferenze che in alcuni territori e in alcune fasce di popolazione si registrano, arrivando fino alla rinuncia alle cure. Per questo bisogna agire sull’organizzazione del sistema sanitario, facendo scelte coraggiose e rompendo le tendenze municipaliste e corporative”. La Cgil in aprile tornerà in piazza a livello nazionale su sanità e fisco.

All’iniziativa di stamani a Scandicci ha partecipato Nino Cartabellotta, presidente Fondazione Gimbe, che ha spiegato: “L’imponente sotto-finanziamento, la carenza di personale sanitario, i modelli organizzativi obsoleti e l’inevitabile avanzata del privato hanno eroso progressivamente il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare nelle Regioni del Sud e per le fasce socio-economiche più deboli. I principi fondamentali del SSN, universalità, uguaglianza, equità, sono stati traditi e oggi troneggiano altre parole chiave: interminabili tempi di attesa, pronto soccorsi affollatissimi, diseguaglianze di accesso alle prestazioni sanitarie, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino alla rinuncia alle cure”.

Al centro Rogers di Scandicci, oltre a delegati, delegate e quadri Cgil, sono intervenuti anche Eugenio Giani, presidente Regione Toscana, Rosy Bindi, Christian Perniciano, responsabile politiche fiscali, economia e finanze della Cgil nazionale, Daniela Barbaresi, segreteria Cgil nazionale.

Daniela Barbaresi: “Sistema al collasso per mancanza risorse”

“Un sistema sanitario che era d’eccellenza a livello mondiale, come riconosciuto anche dall’Oms, oggi si trova a vivere una condizione di forte fragilità, e rischia il collasso per la mancanza di risorse, per la mancanza di risposte anche in termini organizzativi”. Lo ha affermato Daniela Barbaresi, membro della segreteria della Cgil nazionale, a margine del convegno della Cgil Toscana ‘Quando c’è la salute’ oggi a Scandicci (Firenze). “La risposta che dà il governo alla mancanza di personale, alle difficoltà oggettive – ha osservato – è quella di far lavorare di più gli operatori sanitari, i medici, gli infermieri, gli Oss, personale sanitario allo stremo da tantissimo tempo. Quindi servono scelte organizzative diverse, serve garantire le risposte alle persone che oggi si trovano messe nelle condizioni di dover scegliere se curarsi a proprie spese o rinunciare alle cure. Questo per noi è inaccettabile”.

Non dare al sistema le risorse necessarie, secondo Barbaresi, “significa mettere in discussione l’universalismo del sistema sanitario nazionale, significa non garantire risposte, non garantire il diritto alla salute riconosciuto dalla Costituzione, e certificare le profonde diseguaglianze che già oggi ci sono tra le persone e tra i territori. Diseguaglianze destinate ad aggravarsi nel caso in cui il progetto di autonomia differenziata dovesse concretizzarsi. Rispetto a questo noi non solo mettiamo in campo un’azione di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini, ma proseguiremo nella mobilitazione”. 

Rosy Bindi: “Autonomia differenziata può essere colpo finale a Ssn. Chi la vuole pensa di cambiare sistema ma con le assicurazioni”

“Ventuno sistemi sanitari regionali non fanno un sistema sanitario nazionale”, e “chi sbandiera la possibilità di autonomia differenziata in questo momento non si rende conto, o forse si rende fin troppo conto, che questo sarà o rischia di essere il colpo finale”. Lo ha affermato Rosy Bindi, ex ministro della Sanità, a margine del convegno della Cgil a Scandicci. “Chi chiede l’autonomia differenziata – ha proseguito – lo chiede per cambiare assolutamente sistema, per esempio un doppio sistema di finanziamento, una parte con la fiscalità generale e l’altra con le assicurazioni. Se Regioni come la Lombardia, il Veneto, il Piemonte prendessero questa strada, significherebbe che le risorse che abbiamo a disposizione oggi sarebbero ulteriormente ridimensionate. Assolutamente indispensabile assicurare finanziamenti adeguati. Mancano circa 20 miliardi, nessuno li chiede tutti insieme, ma progressivamente di anno in anno vanno aumentati”. Secondo Bindi “molte di queste risorse vanno impiegate per il personale, perché abbiamo carenza di medici, di infermieri, di tutte le professioni sanitarie; e nella loro formazione, perché la formazione del personale sanitario è forse la perla più preziosa nel sistema. Vanno innovati molti sistemi attraverso le tecnologie. Va unito il Paese perché nel Mezzogiorno c’è una situazione drammatica, soprattutto in alcune regioni”. In tema di sanità la Toscana “sicuramente sta meglio di molte altre” regioni, ma “incomincia a vedere alcuni segnali preoccupanti” e dunque “credo ci si debba porre anche il problema di come si affrontano tutti questi diversi modelli organizzativi che si sono realizzati in Italia. Mi permetto di dire anche quello della Toscana da qualche punto di vista”. Secondo Bindi “le liste d’attesa, la crescita del privato, il personale sempre meno affezionato al sistema, i cittadini che cominciano a farsi i loro fondi integrativi e le loro assicurazioni. Tutti questi sono segnali preoccupanti sui quali credo si debba intervenire, a partire anche un po’ dal governo del territorio, perché Asl così grandi stanno mettendo a rischio anche il rapporto con personale, l’integrazione sociosanitaria, la presa in carico delle fragilità. Quindi siamo a una svolta importante”.