Quella che segue è la prefazione a "L'altra possibilità, reportage dal mondo del carcere", di Annalisa Graziano e Giovanni Rinaldi. Mostra e volume realizzati dalla Fondazione Banca del Monte di Foggia e dal Csv (Centro Servizi per il Volontariato) di Foggia, in collaborazione con Casa Circondariale e Uepedi (Ufficio per l’esecuzione penale esterna) della città pugliese.

Ci sono tanti mondi nel Mondo, ma il carcere è quello più nascosto, quello di cui spesso più ci dimentichiamo. Un mondo, una società, un luogo architettonicamente definito dove il tempo ha un’altra velocità, così come lo spazio un’altra dimensione, ristretta, confinata, claustrofobica; anche la luce, i rumori, il silenzio assumono altre forme che non sono quelle della quotidianità che sta fuori. Di questo popolo che vive dentro i penitenziari sappiamo poco, se non che è troppo numeroso in un sistema carcerario che è tra i peggiori d’Europa, così come poco sappiamo di chi quotidianamente entra in carcere per lavorare e un po’ ne viene intimamente trasformato, diventa per diverse ore al giorno anche lui abitante di questa terra di mezzo.

Quindi questo volume ha innanzitutto il pregio di far emergere un sommerso di storie e immagini che può essere considerato un prototipo di quella che è la condizione umana tipica nei luoghi di detenzione, dove uomini e donne come noi scontano una pena tentando anche di trovare una redenzione, qui in un ambiente virtuoso rispetto a quello che siamo abituati a immaginare. Quindi l’altro aspetto che convince è che questo lavoro sta a dirci che un altro carcere, un carcere civile che educa e rieduca, è possibile, e tiene conto di come tutto questo si può realizzare diventando anche una documentazione preziosa.

L’intreccio tra reportage di scrittura e quello fotografico non cede mai alla spettacolarizzazione del disagio o del male, il fotografo Giovanni Rinaldi è fedele al reperto esistenziale in pubblico, racconta ciò che è visibile ma nel visibile anche l’invisibile, mentre Annalisa Graziano usa la parola e scava anche nei vissuti, cerca di portare alla luce con pudore dalle segrete di ogni detenuto la piccola scatola nera di memoria che contiene. Così questo luogo altro, spesso demonizzato, questo mondo nel Mondo, ci appare umano e troppo umano attraverso le vite di riserva che lo abitano, interrotte per quanto dura la pena, vissute a ingannare il tempo in una attesa che sospende temporaneamente la ripresa della quale non conoscono gli sviluppi, ma di cui temono la prova decisiva della libertà.

Anche gli oggetti di questi luoghi assumono un significato e un ruolo diversi da quelli che popolano le nostre abitazioni. Con le carte, i libri, le fotografie, gli utensili, il cibo si stabilisce un rapporto di necessità più forte, così come con la scrittura calligrafica di cui questo mondo resta forse l’ultimo avamposto, la tradizionale lettera un segno distintivo di un luogo dove si perde temporaneamente la libertà, e l’espressione di sé, come la convivenza forzata, è mediata dalle molte coercizioni.

Così, sfogliando il volume, conosciamo Antonio il bibliotecario, quello che scrive pietà con tre t, Suada e le donne della sezione femminile, sappiamo che ci sono dei bambini, di cui si intravede solo la presenza, vediamo le cuoche Carla e Lucia, il giardiniere Giuseppe, il suo aiutante Mario che ha rifiutato i domiciliari restando in carcere per guadagnare il poco che gli serve per assistere la sua compagna gravemente malata, Savino il portiere tatuato di quella che chiamano la squadra di calcio della Reclusione. E ancora Giovanni e Michele, cuochi della sezione maschile, che sognano di lavorare onestamente e di essere guardati, una volta usciti di qui, senza pregiudizi, Onofrio e Nazareno, addetto alla lavanderia, esperto del “lava e asciuga”, dove lavora anche Umberto A. che viene da Santo Domingo. Nei cortili, invece, si può facilmente incontrare Nicola, quello che tutti chiamano “il personal trainer” che allena individualmente i compagni nel corso dell’ora d’aria, mentre Kamel esercita nell’officina del M.O.F. (Manutenzione Ordinaria Fabbricati) con Massimiliano, uno fabbro e l’altro idraulico, poi c’è Michele e l’elettricista Gerardo che legge in cella la Bibbia e dalle sbarre in lontananza vede una struttura con le luci rosse che secondo lui sembrano formare una croce.  E in questo Mondo non può mancare Fra’ Eduardo, che consola le anime nella sua stanza, una zona franca dove tutti si sentono al sicuro.

Ma alcuni riescono a uscire dal penitenziario per andare a lavorare nei “Campi liberi”, così si chiama il progetto, come Francesco, che però deve tornare in prigione dove ha nostalgia del mare, mentre Lorenzo è diventato un lettore forte, e Pietro e Paolo, dai nomi apostolici, sono tornati a studiare tra i banchi di scuola. C’è anche il barbiere in questo mondo più piccolo lontano dal Mondo, e si chiama Sergio.  “In questo momento va molto la sfumatura; gli stranieri invece chiedono soprattutto di poter tagliare la barba. Ma è la scalatura il taglio che mi dà più soddisfazione”, dice. Come ogni tanto si fanno vedere anche quelli che tornano dopo aver scontato la pena come Maurizio, assistente al centro diurno dell’Unione Italiana Ciechi, o altri, come Luigi, Marco, Walter e Rino che ora sono fuori e lavorano al Banco Alimentare della Daunia, i ragazzi delle coop. Pietra di Scarto e AlterEco di Cerignola che faticano nei campi confiscati alle organizzazioni criminali, quelli dell’Artlabor che confezionano mozzarelle di qualità. Così il cerchio si chiude, dalla condizione di detenuti a quella di uomini liberi tutto il lungo processo viene raccontato e fotografato nel tempo. E già dal mondo nel Mondo siamo nel Mondo Mondo, dove molti di loro stanno ricominciando a vivere una vita nuova.

Giovanni Rinaldi si prende cura dei corpi, nei suoi scatti coglie i momenti, interroga le espressioni dei visi, cercando di ricostruire lo spazio emozionale, le esperienze che li hanno segnati, che hanno modellato le loro fisiognomiche, Annalisa Graziano racconta.

Forse bisognerebbe riflettere sul perché questo mondo nel Mondo esiste e quanti, a parte i veri delinquenti, i rari serial killer, la percentuale minima di menti criminali, spesso al servizio del Potere (basti per tutti quelli della Banda della Magliana) sono detenuti comuni. Quanti di questi molti hanno varcato la soglia di questo penitenziario perché socialmente deboli, appartenenti a classi sociali basse e discriminate, e quanti altri, invece, qui non ci metteranno mai piede perché salvati da potenti e cavillosi avvocati, politici corrotti, poteri occulti. Chi invece è arrivato qui, in questo mondo nel Mondo, come bene ci racconta questo libro, sa che la vita dentro non è vita, e abitano questo abisso di solitudine e sofferenza. Come racconta il detenuto Michele: “È davvero dura. Io spesso sogno il giorno in cui potrò tornare a casa. Sarà un nuovo capitolo della mia vita, mi lascerò alle spalle questo periodo, le 18 ore in cella che ti arrugginiscono, le ingiustizie del passato e l’aria di qui, che sa di chiuso. Quella di fuori è diversa, apre i polmoni. Quella è la vita”.