Tra risultati elettorali che bocciano le attuali politiche, rischi di referendum e negoziato con la Grecia, quale futuro si prospetta per l'Unione europea? A questa domanda ha risposto stamattina, ai microfoni di RadioArticolo1, il segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi (ascolta il podcast integrale).

"Per l'Unione è l'ultima chiamata – ha detto il dirigente sindacale –, perchè mi sembra evidente che l'attuale politica di austerity e di organizzazione dell'euro stia generando da tempo reazioni antieuropee. Distinguerei, però, le posizioni di Syriza e Podemos, che si battono per un'altra Ue, ma non sono per la fuoriuscita dall'euro. Quello più pericoloso è stato il voto in Polonia, un paese dove negli ultimi tempi è maturato un sentimento forte contro l'idea stessa di Europa e sono ricomparsi i fantasmi del vecchio nazionalismo, da parte di coloro che chiedono di tornare all'Europa degli Stati. Ma una cosa è chiara: il sostegno all'attuale Unione è ai minimi termini".

"In questo momento, la crisi dell'Europa è più politica che finanziaria. Mentre nel 2010 c'era il contagio finanziario, in parte poi risolto con il fondo salva-stati, che ha permesso di pagare i debiti al sistema bancario privato, oggi il debito greco è con gli altri Stati, non con i privati. La preoccupazione attuale non è dovuta al fallimento di banche, ma al fatto che se si concede alla Grecia di cambiare politica economica, come vuole fare Syriza, non si capisce poi perchè altri paesi, come Spagna, Italia, Francia, dovrebbero continuare con l'austerity. La Commissione Ue non vuole legittimare un'alternativa di politica economica, non perchè questo non serva a tenere i conti sotto controllo, ma perchè il pil greco, passato dal 130 al 180%, è calato molto di più di quanto non sia diminuito il debito nominale".

"Nel secondo dopoguerra, Francia e Germania non praticarono l'austerità, ma usarono l'inflazione per sgonfiare il debito nazionale. In quel modo, trovarono più facilmente le risorse per gli investimenti per la ricostruzione. Insomma, oggi la Germania non fa concessioni ai greci, ma si dimentica che non si sarebbe ripresa negli anni '50 senza una politica di prestiti internazionali e di alta inflazione volontaria, concessa all'epoca dagli alleati europei. In questo momento, la Grecia è alle prese con un negoziato durissimo, e il 5 giugno scade la tranche del prestito internazionale. In verità, debbo dire che non c'è mai stato nella storia del mondo un Paese che abbia privilegiato i debiti esteri alle sue esigenze correnti interne. Ma, lo ripeto, tutta la discussione è in parte falsa, in quanto il problema non è il debito greco in sè, che comunque non sarà onorato nei tempi richiesti dall'Ue, ma come va affrontato".

"Il G7 finanziario, che si riunisce oggi a Dresda, non credo troverà la soluzione. In Europa, la discussione sulla riforma della finanza è debolissima per un motivo politico: nel nostro continente, al contrario che in America, le banche non sono fallite. Dall'altra parte dell'Oceano, lo Stato americano ha dovuto tirar fuori 850 miliardi per salvare Lehman Brothers dopo il fallimento, nonchè prestarne altri 500 alla più grande assicurazione del mondo. Queste vicende anche mutato radicalmente il dibattito fra Stato e mercato nel giro di una settimana. In Europa questo non è avvenuto, e sono aumentati i debiti pubblici per non far fallire le banche. A quel punto, il potere politico di banche e finanza è rimasto quello che era prima della crisi, mentre l'aumento del debito pubblico, dovuto al salvataggio delle banche, è stato scaricato su lavoratori e pensionati".

"Per concludere sull'Europa, penso che i prossimi mesi saranno decisivi: se non avverrà un'inversione di tendenza dal trend attuale, fatto di un calo continuo di occupazione e salari, rispetto a produttività ed esportazioni, il futuro dell'Unione sarà segnato. Per cambiare rotta, c'è bisogno innanzitutto di investimenti, sia pubblici che privati, come ha ricordato ieri il Governatore della Banca d'Italia nelle sue Considerazioni finali. Ma   noi, accanto a imprese che puntano all'innovazione e alla qualità del prodotto, ne abbiamo tante altre, piccole e grandi, che non fanno nulla e sono assistite dallo Stato e dalle banche, Fiat docet. Questo è il grande problema italiano, e non basta dire, come ha fatto Visco, che la ripresa è iniziata e bisogna continuare con le riforme, che fuor di perifrasi, si traducono in un taglio del costo del lavoro. Questa politica, ispirata dalla linea economica europea, non ha funzionato nel rilanciare la ripresa e l'occupazione, ma ha solo svalutato il lavoro".