Primo maggio 2010, Festa del lavoro. C’è proprio poco da festeggiare. La ricorrenza cade quest’anno nel mezzo di una crisi con pochi precedenti nella storia recente. I diversi paesi del Nord e del Sud del mondo, chi più chi meno, devono fare i conti con una crisi economica e finanziaria che sta trascinando i suoi effetti sul lavoro, sull’occupazione, sulle libertà, le tutele e i diritti di chi manda avanti l’economica mondiale: le lavoratrici e i lavoratori. E non è finita, le avvisaglie di ripresa in alcuni paesi e in qualche settore sono contraddette dalla paura che le difficoltà economiche, il lievitare della spesa pubblica, la fragilità del sistema finanziario determinino nuove condizioni di grave instabilità.

Da noi in Italia è un Primo maggio amaro, segnato dall’aumento della disoccupazione, dell’utilizzo della cassa integrazione, della mobilità, dalla riduzione dei redditi da lavoro e da pensione, dall’attacco ai diritti e alle tutele sociali faticosamente conquistate in decenni di battaglie sindacali. Come dimostra l’andamento del tutto insoddisfacente del dibattito parlamentare sul ddl che modifica le norme del processo e del diritto del lavoro. La Cgil ha confermato le manifestazioni, i sit in, i presidi organizzati in questi giorni in molte città e davanti alla Camera dei deputati, anche perché le modifiche proposte dal governo e dalla maggioranza non alleggeriscono la portata devastante del provvedimento soprattutto per i nuovi assunti, costretti ad accettare un arbitrato per qualunque controversia di lavoro eccetto, pare, il licenziamento.

In sostanza,
viene confermato l’impianto previsto nello sciagurato “avviso comune”, firmato da Cisl, Uil e imprese, davanti al ministro Sacconi. Con un’enfatizzazione del ruolo degli enti bilaterali che va molto al di là della natura esclusivamente “di servizio” che questi debbono avere, come dice la Cgil. Ne parleremo ancora, seguendo con attenzione l’iter del provvedimento. Comunque, buon Primo maggio, cari lettori.

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