La memoria collettiva può svolgere un ruolo centrale nel modo in cui si rinnova l’importanza di concetti come patrimonio industriale, riuso delle sedi e dei siti di produzione dismessi. Da questo presupposto prende avvio una nuova area di ricerca e di lavoro promossa dal Coordinamento nazionale del sistema archivi, biblioteche e centri di documentazione della Cgil, Fondazione G. Di Vittorio. Innanzitutto, va detto che è andato sempre più crescendo, in Italia, l’interesse per i resti industriali e dei luoghi di produzione dismessi, i quali sono diventati oggetto di studi e di ricerche, soprattutto nell’ambito delle discipline di Storia del patrimonio industriale e di Archeologia industriale.

I resti industriali, dei siti e dei luoghi di produzione sempre di più sono oggetto di individuazione, di catalogazione e di studio. Non solo. In numerosi casi essi sono stati e sono oggetto di ristrutturazione, di riqualificazione e di nuove destinazioni d’uso nell’ambito di strategie di rigenerazione, anche paesaggistica. A essi vengono riconosciuti nuovi valori economici (“patrimonio”), culturali e simbolici.

Si va dalla riconversione in nuove abitazioni, come nel caso della costruzione di loft nelle aree ex Richard Ginori di Milano alla realizzazione di parchi in ex villaggi operai (Villaggio Crespi d’Adda, a Capriate San Gervasio, in provincia di Bergamo, riconosciuto patrimonio dell’umanità Unesco), fino alla trasformazione in spazi culturali di siti industriali (zuccherifici, tabacchifici, birrifici, cotonifici e lanifici, centrali elettriche, officine riparazioni, cartiere, tutti spazi ampi, ma anche lavanderie e altro), ex parchi minerari (come la ex minera Floristella, in provincia di Enna), ex magazzini di stoccaggio, come quelli del sale dello stabilimento Florio delle tonnare nelle isole Egadi, o aree portuali (il porto vecchio di Trieste).

Tutta l’Italia è attraversata da iniziative di riuso, mentre persino gli strumenti e gli oggetti vengono catalogati, studiati, valorizzati. Numerosi sono i network che se ne occupano, le associazioni, tra le principali Aipai-Associazione italiana per il patrimonio archeologico, le fondazioni di imprese (Dalmine, Olivetti, musei d’impresa, Agnelli ecc.), veri e propri cantieri culturali, come Ztc-Zone a traffico culturale, e diverse altre aggregazioni, specialmente a livello territoriale. Iniziative che si sono intensificate anche a causa dei processi di deindustrializzazione, specialmente nell’ultimo decennio, di pari passo con la crescita del fenomeno dei “vuoti”, a partire da quelli descritti da Marco Revelli in “Non ti riconosco. Un viaggio eretico nell’Italia che cambia”, Einaudi, Torino 2016.

Il ripensamento e la rigenerazione dei siti, delle sedi e dei luoghi di produzione se nella maggior parte dei casi propongono la storia dello sviluppo dell’azienda, delle tecniche e delle tecnologie di produzione, quasi mai propongono la storia della vita di fabbrica, delle persone, del passato prossimo e remoto delle lavoratrici e dei lavoratori di quello specifico sito o luogo di produzione. Per paradosso succede che proprio in quei luoghi industriali che vengono trasformati in spazi culturali o poli museali si creino separazioni, se non contrasti, con la loro precedente funzione di ambienti di lavoro che hanno impiegato centinaia di migliaia di lavoratori.

Ciò che risulta assente è una visione integrata, in grado di fare emergere quel composito contesto di storia sociale e di storia locale, con tutti i suoi protagonisti, che caratterizza i luoghi di produzione. Sarebbe assai utile invece una visione in grado di restituire la storia dei luoghi di produzione con le loro memorie, anche se queste sono contrapposte. A tal fine, è necessario collocare le prospettive di riuso dei resti industriali e dei luoghi di produzione nell’ambito di percorsi di ricostruzione storica, che vanno sviluppati attraverso l’osservazione di documenti di varia natura: dalle fonti scritte (documenti d’archivio sindacale e di impresa, diari, articoli di giornale, periodici, cataloghi) alle fonti dette fisiche, come i resti dei macchinari, gli oggetti e gli strumenti d’uso; alle testimonianze orali raccolte tra tutti i protagonisti agli archivi fotografici e audiovisivi sindacali e di impresa.

Alcuni progetti promossi e partecipati da archivi e centri di documentazione della Cgil forniscono esempi interessanti nella direzione di cui sopra. Si pensi al progetto St.of.fa – Stories of Fashion –, promosso da una rete di partenariato tra il Centro documentazione della Camera del lavoro di Biella, l’Unione industriale, la Camera di commercio, la Cgil, la Fondazione Crb, che come si legge dalla brochure di presentazione ha ricomposto la storia del lavoro, dando voce a tutti i protagonisti (tra lavoratori e imprenditori anche artigiani), ha documentato i mezzi di produzione e ha coinvolto le comunità dei produttori.

Il progetto St.of.fa ha come obiettivo, tra l’altro, quello di fare della cultura una risorsa per le politiche territoriali a tutela delle produzioni (www.stoffabiella.it). E non si tratta di un caso isolato. Altrettanto interesse, nella stessa logica di valorizzazione delle memorie collettive del lavoro a fini culturali, ricopre il progetto “In Heritage. I beni culturali del lavoro in Friuli Venezia Giulia: archivi, luoghi, memorie, culture” – promosso, tra gli altri, dall’Istituto Livio Saranz-archivio e biblioteca della Camera del lavoro di Trieste – nato per attivare e sperimentare percorsi di condivisione e divulgazione del patrimonio storico culturale legato al mondo della produzione (www.istitutosaranz.it/).

L’intento del Coordinamento nazionale del sistema archivi, biblioteche e centri di documentazione è dunque quello di sollecitare ai diversi attori in gioco nelle strategie di riuso dei siti e dei luoghi di produzione dismessi, l’importanza della visione integrata di cui si parlava. Come? Attingendo dai patrimoni documentari nella loro diversificazione e complementarità di fonti scritte, iconografiche, di storie e memorie orali, di archivi fotografici. Attingendo cioè dai patrimoni delle persone e dalle memorie collettive per guardare con lo sguardo di oggi la storia del lavoro del particolare luogo di produzione. A proposito dello sguardo di oggi, una questione che si pone senz’altro è proprio quella del rapporto con i fruitori di oggi dei “riusi”, soprattutto nel caso di trasformazione in spazi culturali.

Il ripensamento e la rigenerazione dei siti e dei luoghi di produzione partecipati e realizzati con visione integrata sono una leva importante affinché i nuovi spazi vengano riconosciuti da chi li conosceva e da chi non li conosceva, compresi i nuovi residenti plurietnici che hanno cambiato i modelli di insediamento in dimensioni significative proprio in città e Paesi dove insistono ex aree industriali. Di quanto qui accennato e di altro a ciò collegato si parlerà in occasione della giornata di studio che il Coordinamento e la Fondazione Giuseppe Di Vittorio hanno programmato per oggi, 19 giugno 2018, a Trieste.

Elisa Castellano è coordinatrice nazionale Archivi, biblioteche e centri di documentazione Fondazione Giuseppe Di Vittorio