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La ripresa non arriva e gli ultimi dati congiunturali sono tutti di segno negativo, in particolare quello sul manifatturiero, tanto da spingere il sindacato a chiedere al governo di intervenire, di fare qualcosa per la creazione di nuovi posti di lavoro. Su questo, è intervenuto stamattina a 'Italia Parla', la rubrica di RadioArticolo1, Franco Martini, segretario confederale della Cgil.
"La situazione permane di grande incertezza – esordisce il dirigente confederale –. Ciò condiziona il sistema delle imprese sia dei settori manifatturieri che del terziario. Il governo agisce sul versante di provvedimenti che, a parte quello degli 80 euro che abbiamo apprezzato, non hanno sortito effetti diretti sullo sviluppo, in particolare sul rilancio dei consumo, che è una leva della ripresa del motore economico. Se l'Italia non torna a produrre ricchezza attraverso un intervento pubblico e attraverso stimoli all'iniziativa privata, rimarremo prigionieri dell'emergenza. Questo è il tema dominante, su cui però c'è un silenzio tombale".
"Quello che sta accadendo nell'ultimo periodo – prosegue Martini –, da Telecom a Indesit, si configura come una vera e propria dismissione, un'autentica svendita dei punti di eccellenza dell'apparato produttivo nazionale, quando, al contrario, l'ingranaggio fondamentale dell'economia è proprio il mantenimento di una struttura industriale, accompagnata da tutti gli elementi di innovazione necessari. È sbagliato pensare che l'alternativa sia solo il terziario, sia pure qualificato e avanzato, che non può esistere senza una solida base industriale. In tal modo, I benefici che il governo Renzi ritiene di aver ha ottenuto in sede europea in tema di flessibilità vengono spesi continuando a mettere toppe sulla spesa corrente del bilancio. Dopodichè, c'è un target italiano da sostenere. Pensiamo al turismo: l'economia della cultura è una leva fondamentale per il paese, produce 6-7 miliardi di valore aggiunto, ed è complementare, non alternativa, all'industria manifatturiera. Ma perchè tale enorme giacimento, che nessun altro paese al mondo possiede, non viene sfruttato a dovere? Perchè il governo non fa scelte nette in quel campo? Con il nostro Piano del lavoro abbiamo indicato diverse direzioni di marcia da seguire, che dovrebbero tradursi in atti concreti. Su questo terreno, invitiamo il governo a declamare meno e costruire di più".
Il segretario confederale ha fatto poi una disanima dei settori industriali in crisi. "La siderurgia è allo sfacelo, l'industria automobilistica alla svendita completa, oltre ad essere indietro di 50 anni sul terreno dell'innovazione, il mondo delle tlc all'abbandono, come se l'Italia potesse competere senza presidiare comparti sempre più strategici. Allora lo si dica chiaramente: a noi questi settori non interessano più, oppure si spieghi attraverso quali scelte possano tornare ad essere competitivi, senza agire, come si sta facendo, unicamente sulla leva del costo del lavoro: viceversa, bisogna intervenire sui processi innovativi, con investimenti di qualificazione sulle risorse umane, puntando alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro, anzichè al lavoro precario e flessibile. Il governo dica dove vuol portare al paese, se ci limitiamo a galleggiare, oppure puntiamo alla ripresa, al rilancio della crescita".
Martini si è inoltre soffermato sulla contrattazione. "Senza un rilancio dell'economia non c'è contrattazione degna di questo nome. Se quello che il sistema produce è solo deficit e disoccupazione, è chiaro che la contrattazione – l'esercizio con cui il sindacato nel rapporto negoziale con le controparti cerca di redistribuire la ricchezza prodotta nei luoghi di lavoro a favore dei lavoratori, sotto forma di miglioramenti economici e nornativi –, non ha il carburante per poter essere alimentata. Perciò, invertendo la tendenza attuale, attraverso una prospettiva di rilancio della crescita, la contrattazione può diventare una delle leve importanti attraverso cui le aziende, messe nella condizione di produrre ricchezza, possono destinare il maggior numero di iniziative a favore della qualificazione della risorsa umana, partendo dalla stabilizzazione dei rapporti di lavoro e uscendo dalla 'camicia di forza' della precarietà. Non possiamo più accettare l'idea di un lavoro a basso costo nei principali settori dell'economia, così come dobbiamo ridiscutere gli aspetti complessivi della contrattazione, sapendo che il contratto nazionale, soprattutto nei comparti del terziario e della piccola e media impresa, mantiene una funzione determinante per esercitare una tutela collettiva di un mercato del lavoro assai frazionato: questa è la priorità che vogliamo mettere al centro del confronto politico nel nostro paese".