Emerge un quadro regionale ormai delineato dai dati dall’osservatorio sul precariato Inps rielaborati dall’Ires Cgil Marche.  Nei primi cinque mesi del 2017, gli effetti del Jobs Act sui contratti a tempo indeterminato sono praticamente azzerati; risultano invece molto importanti gli effetti negativi legati alla liberalizzazione dei contratti a termine. L’88,5% dei nuovi contratti attivati è precario, così suddivisi: 74,2% a termine: 5,2% apprendistato; 9,1% stagionali. Solo l’11,5% è a tempo indeterminato. Ormai, quindi, nelle Marche solo un'assunzione su dieci è stabile. 

Le assunzioni a tempo indeterminato sono 9.152, notevolmente inferiori rispetto a quelle effettuate nel 2016 (-800, pari a -8,04%) e soprattutto rispetto a quelle del 2015 (-7.591, pari a -45,34%). Le Marche risultano essere la quarta peggiore regione – dopo Lazio, Umbria e Abruzzo – per calo dei contratti a tempo indeterminato in un anno.  Aumentano significativamente le cessazione dei contratti a termine (+36,08) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il saldo tra assunzioni e cessazioni da rapporti di lavoro a tempo indeterminato è negativo per 5.209 unità, mentre due anni fa il saldo era di poco positivo.

Colpisce, si diceva, il boom del lavoro precario con 59.004 avviamenti a tempo determinato (+45,08% rispetto al 2016), 4.126 contratti di apprendistato (+37% sul 2016) e 7.254 contratti stagionali (+30,6% sul 2016). Nelle Marche il complesso delle assunzioni aumenta del 34,4% rispetto al 2016, più di ogni altra regione d’Italia e di più del doppio rispetto alla media nazionale e del centro Italia, ma allo stesso tempo aumenta più che ogni altra regione d’Italia l’utilizzo dei contratti a termine e quindi le relative cessazioni.  

Afferma Daniela Barbaresi, segretaria generale Cgil Marche: “Non è assolutamente arrivato il tempo di parlare di ripresa occupazionale; quello che preoccupa è la qualità del lavoro che si sta creando. La nostra regione è la più precaria d’Italia e questo triste primato è lo specchio del tessuto economico e produttivo, fatto di micro imprese, in ritardo e ancora troppo orientato alla competizione sui costi e in maniera specifica sul costo del lavoro". Per questo, secondo Giuseppe Santarelli, segretario regionale Cgil Marche, "servono politiche attive sul lavoro e politiche industriali che orientino ad uno sviluppo di qualità, puntando  su formazione e qualificazione del personale”.