Peppe Scifo, Emanuele Verrocchi e Celeste Lo Giacco: tre sindacalisti della Cgil in prima linea nella lotta contro le mafie e l’illegalità. Tre militanti di quell’esercito della giustizia di cui si parla sempre troppo poco nel nostro paese, pronti come siamo a enfatizzare sempre il male piuttosto che il bene: sono tra i vincitori del premio “Pio La Torre”, istituito da Cgil, Avviso Pubblico e Federazione nazionale della stampa per non far rimanere nell’ombra chi in condizioni difficili lotta con impegno ogni giorno. Scifo, Verrocchi e Lo Giacco – insieme a Luciano Silvestri, responsabile legalità della Cgil – hanno incontrato la redazione di Rassegna Sindacale per raccontare la loro storia. Sono giorni importanti questi: quelli che hanno visto l’approvazione definitiva da parte del Parlamento del nuovo Codice Antimafia. “Il premio – spiega Silvestri prima di lasciare la parola ai suoi protagonisti – è anche un’occasione per celebrare il trentacinquesimo anniversario della legge La Torre che per la prima volta ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di associazione mafiosa e, insieme, il sequestro dei beni provenienti da attività illecite per restituirli ai legittimi proprietari. Abbiamo pensato a un riconoscimento per tre figure rappresentanti tre categorie fondamentali per la lotta alla criminalità: sindacalisti, giornalisti e amministratori pubblici. L'orientamento della giuria è stato quello di cogliere il nesso fra l'impegno profuso e i risultati raggiunti”.

Rassegna Lo Giacco, ora tu sei segretario generale della Cgil di Gioia Tauro, ma quando eri nella Flai hai avuto un’idea originale: coinvolgere direttamente nell’attività sindacale lavoratori migranti sfruttati…

Lo Giacco Sì. Abbiamo individuato lavoratori che, avendo vissuto storie di sfruttamento in prima persona, avessero voglia di impegnarsi per rivendicare il rispetto dei diritti non solo per se stessi ma anche per gli altri che lavoravano nella Piana. Il titolo del progetto era “Dalla terra il lavoro, in campo contro lo sfruttamento”. L’obiettivo era anche quello di realizzare una mappatura delle presenze e degli spostamenti dei lavoratori migranti. Persone che lavorano in condizioni atroci: quando va bene 25 euro – ma spesso anche a cottimo, un euro a cassetta – a giornata, dalle 5 del mattino alle 6 di sera e in qualsiasi situazione climatica.

Rassegna E cosa fate in concreto?

Lo Giacco Quasi tutte le mattine, soprattutto nel periodo della stagione agrumicola, da fine settembre fino ad aprile, abbiamo adibito un furgoncino a sportello sindacale mobile. Andiamo nelle campagne, nelle piazze, nei luoghi presidiati dai caporali: per noi rendere visibili gli invisibili è un aspetto fondamentale. In questo modo riconfermiamo il ruolo della Cgil come uno dei pochi baluardi di legalità in questo territorio così difficile.

pc-gallery: id: 366346

Rassegna Hai mai paura? Hai subìto minacce personali?

Lo Giacco Minacce personali no, ma recentemente ci sono state tagliate le quattro gomme del furgoncino che utilizzavamo per fare sindacato di strada. Un chiaro segnale che davamo fastidio e che dovevamo fermarci. Naturalmente non lo abbiamo fatto. Il giorno dopo eravamo già nelle campagne per affermare che non si può morire di lavoro e che i diritti vanno rispettati.

Rassegna È anche una battaglia per il territorio, perché solo il lavoro “pulito” genera sviluppo e ricchezza.

Lo Giacco Certamente. Con la nostra azione vogliamo anche sostenere le aziende sane, perché chi vive di caporalato fa concorrenza scorretta alle imprese che operano dignitosamente e rispettano i contratti, le paghe, la dignità delle persone. Siamo per un’agricoltura sana che si leghi allo sviluppo industriale, alle possibilità offerte dal porto che può essere un volano di sviluppo per il territorio e per l'intero paese.

Rassegna Credi che questo tipo di lotte possa contribuire a far crescere la fiducia nel sindacato?

Lo Giacco Io penso di sì. Soprattutto se si ottengono risultati. In Calabria, per esempio, anche grazie alla spinta della Cgil, siamo riusciti a ottenere un’importante legge regionale contro il caporalato. E poi non si può dimenticare nel dicembre del 2014 il primo sciopero delle donne e degli uomini braccianti nella Piana di Gioia Tauro. Quel giorno erano presenti oltre 200 lavoratori migranti. Non è un fatto banale: molti di loro non sapevano neanche che avrebbero dovuto avere una busta paga. Da quel momento, conquistando la loro fiducia, facciamo normalmente assemblee e abbiamo sindacalizzato una parte di braccianti che disconosceva il sindacato.

Rassegna Verrocchi, tu sei segretario generale della Fillea dell'Aquila: passiamo dunque dall’agricoltura all’edilizia, altro settore cruciale per le infiltrazioni del malaffare e dove si coglie una frontiera relativamente nuova dell’operato delle mafie, quella che con gli appalti coinvolge i sistemi economici.

Verrocchi In Abruzzo, per un sindacalista, con la ricostruzione post sisma a partire dal 2009, è diventato quasi obbligatorio iniziare a occuparsi di certi temi: dove c'è denaro pubblico gli appetiti e le mafie sono dietro l'angolo. L’intuizione che abbiamo avuto è stata quella di considerare alcune irregolarità, ad esempio il mancato pagamento di uno stipendio, il mancato rispetto dell'orario di lavoro o una sistemazione alloggiativa “strana” per gli operai trasfertisti, la spia che qualcosa di ben più grave non andava. Insomma: per noi erano traccia di metodi mafiosi.

Rassegna E dunque cosa avete fatto?

Verrocchi Parlando con i lavoratori, abbiamo pian piano scoperto un mondo tutto nuovo e abbiamo iniziato a denunciare queste situazioni a mezzo stampa. Ricordo, nel 2014, un caso clamoroso di estorsione: appena ricevuta la paga, un gruppo di lavoratori veniva accompagnato al bancomat dove si intimava loro di ritirare denaro e restituire una parte dello stipendio. Grazie alla sensibilità del procuratore dell’Aquila, Fausto Cardella, venne così aperta l'inchiesta “Dirty Job”, che ha portato all'arresto di sette imprenditori edili accusati di intermediazione illecita di manodopera, sfruttamento del lavoro, estorsione, associazione di stampo mafioso. La Cgil si è costituita parte civile: una novità assoluta per il nostro territorio.

Rassegna Qual è stato l’esito del processo?

Verrocchi È iniziato nel 2015 ed è ancora in corso. L'accusa principale è pesante: l’infiltrazione dei Casalesi nella ricostruzione dell'Aquila attraverso l’utilizzo di manodopera proveniente dal Casertano. Una bomba, per l’Abruzzo.

Rassegna Un’altra inchiesta (“Social Dumping”) che è partita sempre da una tua denuncia è stata quella sullo sfruttamento di alcuni lavoratori rumeni.

Verrocchi Anche in questo caso è stato fondamentale il nostro ruolo di sentinelle sul territorio, di costante ascolto dei lavoratori. Grazie a loro abbiamo intercettato uno strano contratto di distacco comunitario. Ci siamo accorti ben presto di gravissime irregolarità su retribuzioni, orario di lavoro, sistemazione alloggiativa. Da lì è partito, sempre nel 2014, un esposto alla procura della Repubblica. L’inchiesta ha portato all’arresto di sei imprenditori a cui sono stati contestati reati pesanti: autoriciclaggio, sfruttamento del lavoro, intermediazione illecita. Si trattava di una vera e propria forma di caporalato 2.0 e transnazionale. Il processo deve ancora partire, ma il fatto che nel frattempo ci siano stati due patteggiamenti, quindi delle ammissioni di colpa, è già di per sé indicativo. Credo che questi risultati siano molto importanti, perché danno credibilità alla presenza del sindacato nel territorio, in un momento storico in cui il ruolo delle grandi organizzazioni di rappresentanza viene spesso messo in discussione.

Rassegna Hai ricevuto minacce per la tua azione?

Verrocchi A livello personale solo una semplice telefonata da parte di uno dei lavoratori coinvolti nell'inchiesta “Dirty Job”. Credo fosse il caporale che dal Casertano faceva viaggiare i lavoratori. Mi disse: “Abbiamo letto i giornali, adesso perderete iscritti, vi infangheremo”. Ovviamente, tutto questo non è accaduto.

Rassegna Beppe Scifo, tu operi in un’altra realtà complicata: quella siciliana. E in un territorio molto particolare, quello di Vittoria, dove hai guidato la Camera del lavoro, e ora Ragusa, dove sei segretario generale della Cgil. Con quale tipo di criminalità organizzata si confronta chi fa sindacato nella tua terra? 

Scifo Il nostro è un contesto davvero particolare e complicato anche per la collocazione geografica. Da noi si “incrociano” mafia catanese, palermitana e la cosiddetta terza mafia, la Spidda: molto violenta e responsabile negli anni di guerre sanguinose con centinaia di morti. Poi registriamo una particolarità: mentre la mafia di solito si insedia nel sottosviluppo, da noi fiorisce una vocazione agricola di grande livello, niente a che vedere con tante zone depresse della Sicilia. Insomma: c’è una fiorente attività imprenditoriale. Gli interessi criminali si concentrano soprattutto sul mercato ortofrutticolo, una struttura pubblica che serve alla commercializzazione dei prodotti che si producono in serra ed è fondamentale per le 6.000 piccole aziende che operano nel territorio.

Rassegna Insomma, il classico pizzo?

Scifo No. Oggi la mafia si è modernizzata, è entrata nel tessuto economico e arriva a imporre servizi anziché mazzette. Da tante inchieste emerge il controllo del trasporto, che è tutto su gomma. Parliamo di grossi volumi di affari, visto che ogni giorno escono 200 tir dal mercato ortofrutticolo che in alcuni casi trasportano anche droga. Sempre più forte poi la presenza nel packaging. Insomma: oggi la mafia è diventata un attore economico. Per questo nel 2014, quando la Cgil promosse il camper della legalità, scegliemmo di organizzare una manifestazione proprio di fronte al mercato. Per me la battaglia per la legalità deve sempre passare per quella sui diritti.

Rassegna Cosa avete fatto in questi anni come Cgil per portare avanti quest’idea?

Scifo Tante denunce specifiche, a cominciare da quelle che riguardano il caporalato. Abbiamo anche promosso con la prefettura un tavolo come luogo di osservazione di queste dinamiche. Sono particolarmente orgoglioso del nostro impegno contro la tratta. Il primo caso nel 2012, quando una donna rumena denunciò di aver subìto vere e proprie violenze fisiche. Siamo andati in azienda, l’abbiamo presa in carico e immessa nel circuito di protezione. Da lì è partita una campagna e abbiamo siglato un protocollo con tutte le realtà che operano nel contrasto alla tratta. All’epoca non è stato semplice: per vittime della tratta si intendevano le povere ragazze nigeriane che venivano in Italia per prostituirsi. Siamo, invece, riusciti a far capire che anche il grave sfruttamento lavorativo rientrava nella tratta. E su questo lavoriamo come sindacato di strada, con la Caritas e altre associazioni.

Rassegna Anche a te la stessa domanda: hai paura quando fai il tuo lavoro di sindacalista in prima linea contro la criminalità?

Scifo A Vittoria ci conosciamo un po’ tutti. E certo qualche volta un po’ di brividi ce li hai quando incroci per strada una persona che magari hai denunciato pubblicamente per la sua attività malavitosa e che sai essere molto pericolosa. Ma vado avanti: ci metto un po’ di incoscienza e continuo.

(Hanno partecipato al forum Stefano Iucci, Maurizio Minnucci, Carlo Ruggiero, Marco Togna)