Oggi (25 novembre), in occasione della ricorrenza internazionale, in molte piazze italiane in migliaia si ritroveranno per manifestare contro la violenza di genere. Femminicidi, stupri, reati contro le donne, stalking, mobbing, molestie sul lavoro, cultura machista e sessismo sono i nemici da combattere. E le donne, tutte, lo diranno a gran voce.

La Cgil dichiara di voler dare continuità alla mobilitazione Riprendiamoci la libertà dello scorso 30 settembre, che ha coinvolto le principali città italiane. Loredana Taddei, responsabile Politiche di genere della Cgil nazionale, dichiara: “Rilanciamo l’appello Avete tolto il senso alle parole. #NonSoloOggi, perché il nostro impegno non si fermerà il 25 novembre. Continueremo a rivendicare il diritto delle donne a essere libere dalla violenza e chiediamo alla politica azioni concrete affinché questa condizione si determini. Per questo è importante sottoscrivere la petizione, che ha già raccolto 15 mila firme, al fine di esercitare una pressione sufficiente verso il Parlamento. Perché la sconfitta della violenza maschile sulle donne diventi una priorità per il governo italiano”.

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A Roma si svolgerà il corteo indetto dalla rete Non una di meno, che partirà da Piazza della Repubblica e che servirà a sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso il piano d’azione per il contrasto della violenza maschile: non si chiede più polizia nelle strade, ma autonomia, libertà e giustizia sociale.

Sono tante le forme in cui si manifesta la violenza. Secondo un recente sondaggio commissionato da Amnesty International il fenomeno degli abusi e delle molestie ai danni delle donne, oltre che in forma diretta, avviene in maniera preponderante a mezzo web. In particolare, una donna ogni quattro intervistate ha dichiarato di aver subito minacce, insulti e discriminazioni online. Il dilagare dei troll – persone che deliberatamente postano commenti offensivi nascondendosi dietro falsi profili – conferma tristemente la pericolosità dei social network quando vengono mal utilizzati. Dalle gogne a colpi di tweet al doxxing (vale a dire la pubblicazione online di documenti, foto o dettagli personali allo scopo di intimidire o angosciare le vittime dell’attacco) la violenza virtuale si palesa in nuove preoccupanti forme.

Dopo lo scandalo di Hollywood si è acceso un dibattito virale con gli hashtag #metoo e #quellavoltache che ha consentito di portare sulla piazza virtuale di Twitter, Facebook e Instagram quello che da oltre trent’anni le donne hanno raccontato e raccontano negli 80 centri antiviolenza presenti in tutta Italia, dice in una nota la rete Di.Re. Per offrire un supporto concreto alle donne che necessitano di aiuto e rifugio la Casa delle donne di Bologna ha messo disposizione una mappatura dei centri antiviolenza dislocati su tutto il territorio nazionale. Non a caso l’Emilia Romagna è la seconda regione come numero di centri dopo la Lombardia. Sempre la onlus bolognese organizza da anni un festival che si chiama “La violenza illustrata” e che per la XII edizione è sottotitolato Ri-Uscire: fino al 4 dicembre promuove laboratori, incontri, spettacoli teatrali e proiezioni di film sul tema della violenza.

Non solo. La Casa delle donne di Bologna ha contribuito alla realizzazione del sito Stop femminicidio, ideato dalla digital designer Sara Porco, che rappresenta un importante archivio dei casi di donne uccise nel nostro Paese: mediamente 115 vittime ogni anno, una ogni 3 giorni circa. L’obiettivo è quello di mettere in luce il fenomeno tramite la diffusione dei suoi dati. Considerato che non esistono fonti ufficiali e che finora non è mai stato realizzato un Osservatorio nazionale sulla violenza contro le donne, questa ricerca appare più che preziosa per smontare anche gli stereotipi. A partire da quelli relativi alla distribuzione geografica dei casi di femminicidio in Italia: “I dati smentiscono i luoghi comuni e le credenze popolari che individuano nel Sud Italia il fulcro del problema. Circa il 48 per cento dei casi, avvenuti tra il 2005 ed il 2016, si colloca nei territori settentrionali”, scrive Sara.

Ma per arginare il problema sono in tante a sostenere che bisogna investire su cultura e formazione. “Combattere la violenza non vuol dire solo offrire servizi adeguati alle donne vittime di violenza e ai loro figli – dichiara Sabrina Frasca, dell’associazione Differenza Donna –, ma anche lavorare sul piano educativo e simbolico delle future generazioni. Per fare questo sono necessari programmi di prevenzione rivolti ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze, che lavorino sull’educazione alle differenze, sul rispetto e sulla reciprocità, affinché la libertà delle ragazze non sia vissuta come minaccia, ma come valore e il rispetto delle diversità come modo di relazionarsi”.

Che la chiave di volta, contro la sopraffazione maschile, sia da ricercarsi nell’ambito culturale lo sostiene anche la saggista statunitense Rebecca Solnit. Nella sua raccolta "Gli uomini mi spiegano le cose", appena tradotta in Italia nell’edizione Ponte alle Grazie, afferma senza perifrasi: “Di casi di violenza e stupro sulle donne ne avvengono in quantità in questo Paese e su questo pianeta, eppure quasi mai li si considera un problema di diritti civili o di diritti umani, o un’emergenza, o addirittura uno schema ricorrente. La violenza non ha razza, non ha classe, non ha religione, né una nazionalità, però ha un genere”. E c’è da crederci che sia davvero così.