L’annuncio risale allo scorso anno. A novembre 2015 il Mise (ministero dello Sviluppo economico) licenziò un documento dal titolo Industry 4.0, la via italiana per la competitività del manifatturiero. Come fare della trasformazione digitale dell’industria un’opportunità per la crescita e l’occupazione”. La strategia d’azione veniva declinata in otto aree di intervento: rilanciare gli investimenti industriali, con particolare attenzione a quelli in ricerca e sviluppo, conoscenza e innovazione; favorire la crescita dimensionale delle imprese; favorire la nuova imprenditorialità innovativa; definire protocolli, standard e criteri di interoperabilità condivisi a livello europeo; garantire la sicurezza delle reti (cybersecurity) e la tutela della privacy; assicurare adeguate infrastrutture di rete; diffondere le competenze per Industry 4.0; canalizzare le risorse finanziare.
Il piano effettivo, però, è stato presentato solo il 21 settembre 2016 da Matteo Renzi e dal nuovo titolare del dicastero Carlo Calenda (dal 10 maggio subentrato alla dimissionaria Federica Guidi). Il piano dovrebbe “muovere” investimenti privati per 10 miliardi e altri 11,3 di spesa, sempre privata, in ricerca, sviluppo e innovazione. Il provvedimento prevede anche un mix di incentivi fiscali, sostegno al venture capital, diffusione della banda ultralarga, formazione dalle scuole all’università con lo scopo di favorire e incentivare le imprese ad adeguarsi e aderire pienamente alla quarta rivoluzione industriale.
Tra le misure previste arrivano anche tempi più lunghi per il superammortamento e una diversa modulazione del credito di imposta per ricerca e innovazione, che sarà incrementale, portando l’aliquota della spesa interna fino al 50 per cento, con un credito massimo da 5 fino a 20 milioni di euro. In tutto, secondo Calenda, le risorse a disposizione del progetto saranno di 34,4 miliardi di euro nell’arco di tre anni, dal 2017 al 2019, più 4 miliardi derivanti dal taglio dell’Ires.
L’espressione Industria 4.0 è stata usata per la prima volta nel 2011 in Germania. Nel 2012 un gruppo di lavoro della Acatech (Accademia tedesca delle scienze e dell’ingegneria) propose al governo centrale tedesco una serie di proposte per implementare questa funzione. Il rapporto di lavoro è stato poi ufficialmente presentato nell’aprile del 2013. La definizione allude alla quarta rivoluzione industriale che sarebbe in atto in questi anni. Dopo la prima del 1784 – e conseguente alla nascita della macchina a vapore –, quella del 1870 (con il via alla produzione di massa favorita dall’uso massiccio dell’elettricità) e la terza, del 1970, con l’avvento dell’informatica da cui è derivato l’alto livello di innovazione elettronica e digitale che caratterizza, appunto, la fase odierna, in cui la produzione è quasi tutta automatizzata e interconnessa.
Secondo uno studio di McKinsey, la più prestigiosa società di consulenza al mondo, le nuove tecnologie digitali avranno un impatto profondo su quattro linee di sviluppo: l’utilizzo dei dati e la relativa potenza di calcolo (oggi le imprese riescono a utilizzarne solo l’1%); l’interazione tra l’uomo e la macchina e il passaggio dal digitale al “reale”, che comprende la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machine-to-machine e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo mirato, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni.