Negli Stati Uniti le associazioni di imprese, come tutte le associazioni, sono molto numerose; già nel 1835 de Tocqueville scriveva che in America si formano continuamente associazioni mentre in Francia gli stessi problemi vengono affrontati da commissioni governative. Le organizzazioni più importanti e diffuse sono le Camere di Commercio (Chambers of Commerce) presenti a tutti i livelli (federale, statale e locale) e le associazioni commerciali (Trade Associations) che operano in tutti i settori merceologici, anche esse a vari livelli. Nel settore manifatturiero dal 1916 è attiva la National Association of Manufactures con compiti di ricerca, iniziativa politica, finanziamento delle campagne elettorali e lobbying.

Esistono poi una miriade di associazioni imprenditoriali che nascono allo scopo di fornire servizi alle imprese nei campi più svariati. Ci sono anche organizzazioni nate con il solo scopo di modificare la legislazione sindacale; la più nota è la National Right to Work Association (Associazione nazionale per il diritto al lavoro) che ha per obiettivo quello di cambiare la legislazione in quegli Stati che consentono l’Union Shop, in base al quale, nelle aziende sindacalizzate, il nuovo assunto deve iscriversi al sindacato pena il licenziamento. Naturalmente nell’ordinamento italiano una tale legge sarebbe incostituzionale ma negli Stati Uniti i sindacati hanno sempre difeso questo sistema che a parere di chi scrive tende a produrre più danni che benefici.

Esistono infine associazioni di imprese, spesso a livello locale, che hanno il solo scopo di condurre trattative contrattuali per gli associati sindacalizzati. Per fare esempi concreti: la Mid-America Regional Bargaining Association dal 1971 opera nel settore delle costruzioni nell’area di Chicago; la S.L. Food Employers’ Council rappresenta circa 6.000 dipendenti nell’area di St. Louis in più aziende; mentre l’Hotel Restaurant Employers’ Council of S. C. Inc. rappresenta 7.000 dipendenti nel sud della California. Una prima conclusione: è vero che la contrattazione negli Stati Uniti è prevalentemente di carattere aziendale (come si può vedere nell’archivio della contrattazione per imprese con più di mille dipendenti (http://www.dol.gov/olms/regs/compliance/cba/), tuttavia un grande numero di dipendenti sono in contratti collettivi che coprono più di un’impresa. Soprattutto per settori come costruzioni, tessile, trasporto su gomma, attività portuali, alberghi e ristorazione; tutte realtà dove prevalgono piccole imprese e dove c’è notevole mobilità di personale, spesso intra-settoriale.

È da tenere presente che la contrattazione collettiva offre negli Stati Uniti benefici anche per la previdenza integrativa e la sanità. Quindi le aziende sindacalizzate aggregate possono acquistare a condizioni migliori certi benefici e fare in modo che il dipendente mantenga la copertura anche in caso di mobilità. Si stima che i dipendenti coperti da contratti collettivi che non riguardano solo la propria azienda siano il 50 per cento del totale; nel settore privato la percentuale scende al 25 per cento, ma non ci sono dati ufficiali. Le unità contrattuali con più di un’impresa (Multi-employers Bargaining Units) sono regolamentate dalla legislazione. Ad esempio l’impresa aderente non può lasciare la struttura nel corso di una trattativa contrattuale senza l’approvazione di tutti. È evidente che un piano di copertura sanitaria acquistata a un certo prezzo può costare di più se perde parti importanti. Il sindacato d’altra parte, alla scadenza del contratto, non può scioperare solo in un’azienda che fa parte di un’unità contrattuale con più imprese per costringerla a cedere e quindi far breccia anche nelle altre. Le strutture associative delle imprese raramente firmano contratti collettivi, non solo perché la maggioranza degli associati non sono sindacalizzati.

Allargare l’unità contrattuale ed aggregare più aziende, tutte con sindacato, richiede procedure che non è facile mettere in atto. Si consideri che mentre in Italia la copertura contrattuale dei dipendenti viene determinata dall’iscrizione dell’impresa all’associazione firmataria, indipendentemente dal tasso di sindacalizzazione presente, negli Stati Uniti solo le aziende con maggioranza dei dipendenti pro-sindacato possono avere copertura contrattuale e la controparte datoriale viene fissata rigidamente. Inoltre, negli Stati Uniti la scelta della struttura contrattuale è solo teoricamente lasciata alla volontà delle parti, perché in pratica è l’agenzia governativa (National Labor Relations Board) che determina il perimetro dell’unità di rappresentanza e quindi il perimetro contrattuale. I criteri fondamentali sono: comunanza di interessi, struttura produttiva, disponibilità dei dipendenti a iscriversi ai sindacati, ruolo svolto nell’impresa. A complicare la situazione c’è poi il fatto che la decentralizzazione e il carattere aziendale del contratto possono essere solo apparenti. Per fare un esempio: i lavoratori di mestiere (Craft) hanno diritto a unità contrattuali separate se lo ritengono più conveniente. Il sindacalismo di mestiere mantiene infatti ancora una sua presenza. Di conseguenza gli elettricisti di un’azienda di trasporto hanno un contratto specifico, ma il loro sindacato firma un contratto identico anche nelle altre aziende sindacalizzate dove quel tipo di professionalità è operante, pure in altri settori.

A rigore si tratta, quindi,di tanti contratti aziendali di mestiere, ma costruiti su un pattern interaziendale che può essere di varie dimensioni geografiche. Nel sindacalismo industriale è noto il caso dell’auto dove i contratti sono aziendali ma storicamente sono identici fra i vari gruppi. Esaminiamo ora il tasso di sindacalizzazione negli Usa, che è legato ai ragionamenti fatti sinora. Negli ultimi dieci anni sono state organizzate 30.500 elezioni (un sindacato per entrare in azienda deve essere votato dalla maggioranza dei lavoratori, ndr), in grande maggioranza a livello aziendale, (http://www.nlrb.gov/election-reports). Il numero di elezioni annuali è in diminuzione, con una percentuale di vittoria sindacale del 66,3 per cento. Come risultato i sindacati hanno guadagnato circa 900.000 iscritti, un numero insufficiente a compensare le perdite degli ultimi anni: nel 2010 gli associati sono 14.7 milioni, ma nel 1983 erano 17.7 milioni e il tasso di sindacalizzazione è sceso dal 20,1 all’11,9 per cento. La copertura contrattuale coincide in buona parte con l’iscrizione al sindacato: solo 1.7 milioni di dipendenti hanno un contratto collettivo pur non essendo iscritti (si tratta per metà di dipendenti pubblici dove le regole dell’Union Shop non sono applicabili e per metà di dipendenti privati in stati che non consentono questo vincolo). Deve anche essere tenuto ben presente il divario enorme, a livello di adesioni alle associazioni dei lavoratori, tra settore pubblico (36,2 per cento) e settore privato (6,9 per cento). Il declino del sindacato nel settore privato non è dovuto però alla mancanza di interesse dei dipendenti per i benefici offerti dalla rappresentanza sindacale.

Le indagini campionarie hanno messo ben in chiaro mediamente che più un terzo dei dipendenti sarebbe interessato ad avere un sindacato. Le principali ragioni del suo declino sono invece il tipo di legislazione presente, i meccanismi elettorali vigenti, l’attività antisindacale, anche illegale, messa in atto nelle campagne elettorali . Cambiare la legislazione in materia era uno degli obiettivi più importanti che i sindacati speravano di ottenere da Obama. La Employee Free Choice Act avrebbe potuto segnare una svolta decisiva, ma anche quando Camera e Senato erano a maggioranza democratica la legge non è riuscita a passare. Con il nuovo Congresso, eletto a novembre del 2010, non ci sono più possibilità che ciò avvenga. Molte associazioni imprenditoriali si sono mobilitate contro l’approvazione della nuova legge. Ad esempio le Chambers of Commerce, ma anche grandi aziende come Wall Mart, la catena di grandi magazzini che attualmente è l’impresa con maggior numero di dipendenti negli Stati Uniti (oltre un milione) e non ha firmato nessun contratto con i sindacati. (http://www.aflcio.org/joinaunion/voiceatwork/efca/against.cfm).

Concludiamo con una domanda. Come mai i contratti settoriali nazionali non sono divenuti prevalenti negli Stati Uniti? Perchè la spinta alla decentralizzazione contrattuale ha prevalso? Certo c’è la dimensione continentale del paese e possiamo aggiungere che la diversificazione delle condizioni di lavoro e il declino delle industrie di produzione di massa rendono difficile la contrattazione collettiva, ma la scelta strategica della decentralizzazione è stata compiuta pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando grandi scioperi hanno fatto temere un rafforzamento oltre misura del lavoro organizzato e sul tema del controllo del mercato del lavoro le preoccupazioni potevano anche essere giustificate. In realtà i sindacati negli Stati Uniti hanno a lungo lottato per assumere una dimensione nazionale. È appassionante rileggere oggi molti interventi che si facevano nelle riunioni sindacali dell’Ottocento. All’arrivo della ferrovia i prodotti a buon mercato dei centri manifatturieri mettevano in crisi le aziende tradizionali esistenti e le organizzazioni sindacali locali. La necessità di far coincidere struttura organizzativa e dimensione del mercato appariva una scelta obbligata ma non era facile raggiungere questo obiettivo considerando la legislazione sfavorevole, l’immigrazione continua, la forza di resistenza delle gigantesche imprese che si venivano consolidando. Oggi la competizione mondiale pone sfide anche più difficili.