Cresce in Italia e in Europa – come testimoniato anche dalle numerose iniziative annunciate per la giornata di mobilitazione dell'11 ottobre – la preoccupazione di cittadini e lavoratori sui contenuti e le conseguenze dei negoziati per una trattato di libero scambio tra l'Unione Europea e gli Usa, noto come TTIP. Come ribadito nella dichiarazione dei leader sindacali europei convenuti a Roma lo scorso 6 ottobre, i timori sono legati all'assoluta segretezza e opacità dei negoziati e al carattere prevalentemente normativo e regolamentare – secondo le intenzioni dei negoziatori delle due sponde dell'Atlantico – che assumerebbe l'accordo.

Non si tratta, infatti, di abbattere tariffe doganali – già significativamente basse tra i due partner – quanto di “armonizzare” leggi e regolamenti per rendere più fluido il libero scambio di merci e servizi. In altre parole, il Trattato commerciale interverrebbe sulle norme ambientali, alimentari, sociali e del lavoro a favore della massima liberalizzazione delle merci e dei servizi, inclusi quelli pubblici e quelli essenziali, con conseguenze facilmente immaginabili sulle condizioni di vita e di lavoro e sui livelli stessi della democrazia.

Non sarebbero, infatti, i Parlamenti e i governi a decidere norme così fondamentali, ma un apposito Consiglio Transatlantico che vigilerebbe sulla conformità di queste leggi ai dettami del libero scambio. Nè la Commissione Europea e il governo italiano hanno finora fornito alcuna esauriente previsione sull'impatto di un simile trattato sui posti di lavoro, per paesi, regioni e settori.

La propaganda che vorrebbe gli accordi commerciali come una soluzione vincente per tutti (win – win) continua a non tenere conto della realtà verificatasi nei numerosi accordi già siglati: ci sono settori in cui si guadagna e settori in cui si perde e per l'Italia la concentrazione dell'occupazione in piccole e piccolissime imprese non lascia prefigurare buoni risultati in una presunta crescita trainata dall'esportazione, che riguarda, oggi, un numero limitato di medio-grandi imprese.

Siamo in attesa di conoscere il risultato della consultazione che la Commissione ha aperto sul meccanismo di dispute tra investitori e stati – meccanismo che è già stato inserito nel trattato di libero scambio con il Canada (CETA). Si tratta di una gravissima violazione della sovranità politica dei singoli stati, laddove investitori e multinazionali possono chiamarli di fronte ad una corte arbitrale internazionale privata a rispondere di possibili violazioni dei “diritti” degli investitori per legittime decisioni politiche che possano influenzare negativamente i profitti delle imprese estere. Meccanismo, oltretutto, che discrimina a sfavore delle imprese nazionali, che, giustamente, a queste decisioni dei loro stati devono semplicemente attenersi, salvo ricorrere alla normale giurisdizione se li ritengono illegittimi.

La CGIL ribadisce la sua posizione – definita in un documento del giugno scorso: “Il TTIP ha senso solo se favorisce la creazione di posti di lavoro di qualità e sviluppo sostenibile”

* Responsabile Segretariato per l'Europa
** Coordinatore Dipartimento Politiche Globali