“Non vi è dubbio che esista una libertà di odiare, che attiene alla sfera dei sentimenti. Ma questa libertà va distinta dai discorsi d’odio. La necessità di contrastare i discorsi di istigazione all’odio non deve mai scontrarsi e confliggere con la necessità di tutelare la libertà di espressione”. Sono questi alcuni elementi – importanti - delle conclusioni della “Commissione Segre”, istituita al Senato nella scorsa legislatura per capire cosa ci sta succedendo, perché tanta cattiveria, soprattutto sui social. Perché, soprattutto, tanto odio verso le donne.

Sono e continuano ad essere – anno dopo anno – ricerca dopo ricerca – le donne le più attaccate. Parolacce, certo. Ma soprattutto espressioni di violenza, di ferocia. Basti considerare che gli attacchi contro le donne si fanno più acuti quando ci sono casi di femminicidio.

Tutto ciò si scopre non solo dalle indagini sul “Barometro dell’odio” di Amensty International, ma più in particolare dalle ricerche svolte con le università – Bari, Roma, Milano – dall’Osservatorio sui diritti Vox. I ricercatori dell’Aldo Moro di Bari “lanciano” delle vere reti (algoritmi) sulla rete (twitter) per catturare le espressioni d’odio, e analizzano migliaia e migliaia di tweet insultati, cattivi, violenti. Il risultato è davvero sconfortante: solo l’anno scorso il 43,21% dei tweet negativi era contro le donne. A seguire musulmani (33,95%), disabili (8,78%), ebrei (7,33%), omosessuali (6,58%), migranti (0,15%). Segnaliamo due cose: grave il “ritorno” dei disabili, uno stereotipo che sembrava praticamente sconfitto e che invece riappare, soprattutto come insulto generico; il dato dei migranti, tornato ai minimi, dopo che durante il periodo in cui era Ministro degli Interni l’on. Salvini questo dato aveva superato tutti gli altri. Speriamo che ora non ci sia anche un “effetto Piantedosi”.

Ma allora, perché le donne? La risposta è ancora e sempre nella Costituzione, nella difficoltà di accettare davvero e fino in fondo quell’art. 3 che ci fa tutti uguali. Le donne che acquisiscono visibilità, che acquisiscono un ruolo, che sono di fatto loro le capefamiglia. Una realtà che per troppi ancora è difficile da accettare. E anche per troppe. Perché è vero che anche le donne odiano le donne, ma non per partito preso: perché abbiamo imparato così, che si sta un passo indietro, che gli uomini hanno diritti in più. Che è “lui” che porta a casa lo stipendio più alto.

Ma le “parolacce” con cui vengono accolte dai social non sono solo da condannare: sono una spia pericolosa, perché sono l’anticamera della violenza. Di qualunque violenza.

Che fare? Parlarne. Denunciare, non lasciar correre, non fare “spallucce”, condividere. E essere sempre solidali, uomini e donne, contro ogni violenza, anche quella delle parolacce…     

Silvia Garambois è presidente di GiULiA giornaliste