Conosciamo bene il tema dei cambiamenti climatici, siamo consapevoli dell’importanza del problema per il futuro del nostro Paese e del pianeta e siamo più sensibili di prima. Lo rivela l’indagine demoscopica realizzata dall’Osservatorio Futura, un approfondimento a 360 gradi su climate change, green economy e transizione ecologica, effettuato intervistando un campione rappresentativo della popolazione italiana, duemila persone con più di 18 anni. Che hanno anche indicato con precisione i principali responsabili: il settore energetico e petrolifero, a grande distanza i trasporti, le auto, gli spostamenti in aereo, per ultimi la produzione chimica e quella agricola.

“Nel nostro Paese c’è una grande disinformazione sulle questioni ambientali e climatiche – afferma Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil -, si continua a parlare di maltempo anziché di conseguenze delle azioni umane, e si evita accuratamente di mettere in correlazione cosa succede, dalle alluvioni alle ondate di calore, con il consumo di fonti fossili. Ciò nonostante, la consapevolezza e la sensibilità su questi temi è molto cresciuta. L’informazione e la formazione restano essenziali, ma il problema più grave è la responsabile inazione dei governi e in particolare dell’esecutivo Meloni, che sul tema ha un approccio ai limiti del negazionismo, se non oltre”.

Si può, si deve fare di più

Secondo gli intervistati i fenomeni meteorologici estremi sono già oggi un segno evidente del cambiamento climatico, l’alternarsi di inondazioni a periodi di siccità e ondate di calore costruiscono un quadro preoccupante per almeno la metà del campione, e nei prossimi 10 anni la situazione è destinata a peggiorare. Per gli intervistati i leader mondiali fanno davvero poco per combattere il cambiamento climatico: meno del 10 per cento è soddisfatto dell’operato, l’opinione comune è che si debba fare di più e con più determinazione.

A livello mondiale, poi, i negoziati dell’Onu dovrebbero concentrarsi soprattutto sull’eliminazione delle fonti fossili per contenere l’aumento delle temperature del pianeta e in seconda battuta sostenere i Paesi poveri e in via di sviluppo. Altrettanto importante è il rispetto dei diritti umani a qualsiasi livello (gender, età, lavoro, migranti).

“C’è una distanza abissale fra le decisioni politiche e la volontà popolare – prosegue Ferrari -. L’abbiamo visto di recente anche in occasione dei negoziati per il clima. Il movimento per la giustizia climatica e la Cgil rivendicavano con manifestazioni in tutto il mondo pace, giustizia sociale, equità, phase-out dalle fonti fossili, diritti umani e del lavoro, il rispetto dell’obiettivo di 1.5°C: tutti argomenti rimasti fuori dall’accordo finale. C’è quindi un problema di democrazia”.

L’impatto sul lavoro

Secondo l’indagine di Futura, tre intervistati su quattro temono che il cambiamento climatico possa avere un impatto sui lavoratori, sul fronte dell’occupazione, delle condizioni di lavoro, della sicurezza, e la percentuale sale a quasi l’80 per cento tra gli over 65.

“Il lavoro e i lavoratori sono già coinvolti e sarà sempre peggio – dice ancora il leader sindacale -. I dati dell’Ilo ci dicono che circa 1,2 miliardi di posti di lavoro dipendono dalla salute degli ecosistemi e che entro il 2030 andranno persi l'equivalente di 80 milioni di posti a causa dello stress da calore. Pensiamo per esempio a tutte le attività colpite dalle grandi alluvioni, come quella dell’Emilia-Romagna, o all’impatto di piogge violente, aumento delle temperature e siccità sull’agricoltura, ma anche sul turismo: in montagna la neve scarseggia e le nostre città sono diventate troppo calde per attrarre turisti. E poi, c’è l’impatto sulla salute e sicurezza dei lavoratori: aumentano gli infortuni, le malattie e i decessi causati da inquinamento e cambiamento climatico”.

Sindacati in prima linea

Questo chiama in causa direttamente i sindacati, ai quali viene chiesto di battersi per favorire la salvaguardia dell’ambiente, di controllare il rispetto delle regole previste per la tutela del clima e dell’ambiente da parte delle imprese e infine di informare aziende, lavoratori e cittadini sulle opportunità offerte dai temi economico-ambientali.

“La Cgil è impegnata da anni nel promuovere una giusta transizione che tuteli l’ambiente e il benessere delle persone e riduca i divari e le disuguaglianze che affliggono il nostro Paese – aggiunge Christian Ferrari -. Lo facciamo integrando le rivendicazioni per la sostenibilità ambientale, sociale ed economica in tutta la nostra azione sindacale, nel confronto con il governo e con gli enti locali, nella contrattazione collettiva nazionale e in quella aziendale. Si può fare di più e meglio, ma la giusta transizione ecologica è già un orientamento che guida la nostra organizzazione”.

Stato, imprese, cittadini

Il campione sostiene che lo Stato e le imprese dovrebbero abbracciare lo sviluppo di energie rinnovabili come prima mossa verso la transizione ecologica, l’85 per cento è d’accordo nell’affermare che il ruolo di ciascun cittadino è importante per affrontare le sfide che il cambiamento del clima impone: tutti sono chiamati a impegnarsi su più fronti, dalla raccolta differenziata alla limitazione all’uso dei mezzi privati, all’efficientamento energetico delle abitazioni.

Transizione e fonti fossili

Per quanto riguarda la transizione ecologica, i settori più coinvolti sono quello energetico e di estrazione di combustibili, ma anche l’industria pesante, i trasporti e l’agricoltura. L’energia solare è vissuta come la fonte più sicura ed efficiente, con il minor impatto sull’ambiente, seguita a distanza dall’uso della biomassa, del vento e dell’energia geotermica. Per gli intervistati, rispetto alla media europea l’Italia risulta molto più indietro per quel che riguarda la transizione ecologica.

“Le fonti fossili sono responsabili di oltre i tre quarti delle emissioni climalteranti - conclude Ferrari -; quindi è evidente che uscire da queste fonti energetiche è fondamentale per contrastare il cambiamento climatico e va fatto nei tempi che ci indica la scienza. Il rapporto Ipcc ci dice che le emissioni devono essere ridotte del 43 per cento nel 2030 a livello globale, per avere la possibilità di restare entro 1.5°C. Questa percentuale deve essere ancor più alta nei Paesi occidentali come l’Italia, che hanno responsabilità storiche e un maggior impatto pro-capite, e che dispongono anche delle tecnologie, dell’apparato industriale e della capacità di investimento per poterlo fare”.

Grande opportunità

Per il sindacalista accelerare la transizione energetica è anche una straordinaria opportunità, soprattutto per l’Italia che ha una dipendenza energetica che sfiora l’80 per cento: “Per ogni posto di lavoro perso nelle fonti fossili se ne possono creare più del doppio nel settore delle rinnovabili – chiude Ferrari -, a patto però che il processo venga governato con politiche di giusta transizione e politiche industriali. Questo è un punto decisivo: o si rende socialmente desiderabile la conversione ecologica, come ricordava Alex Langer, in particolare per le fasce popolari, oppure sarà impossibile portarla a termine”.