Il 6 aprile del 1924 in Italia si vota in un clima di intimidazione e violenza. In precedenza è stata approvata la cosiddetta legge Acerbo – definita da Filippo Turati “la legge di tutte le paure e di tutte le viltà” – che in nome della governabilità assegna i due terzi dei seggi alla lista più votata sul piano nazionale. Il listone fascista ottiene 374 rappresentanti alla Camera: è il partito di maggioranza assoluta.

Il 10 giugno successivo Giacomo Matteotti, deputato e segretario del Partito socialista unitario, viene rapito sul lungotevere Arnaldo da Brescia a Roma e ucciso. Benito Mussolini ne ordina la morte per mettere a tacere le sue denunce di brogli elettorali attuati dalla dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924 e le sue indagini sulla corruzione del governo. Come scrive lo storico Giovanni Sabbatucci “fu la protesta contro il clima di violenza e di intimidazione che aveva caratterizzato le operazioni di voto a segnare il destino di Giacomo Matteotti. E fu la reazione alla crisi Matteotti che spinse Mussolini ad avviare, o quanto meno ad accelerare, quella stretta autoritaria che, nel giro di un paio d'anni, avrebbe fissato definitivamente i tratti della dittatura a viso aperto”.

Già nel marzo 1922 Matteotti aveva pubblicato la famosa Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, in cui si denunciavano le violenze perpetrate dallo squadrismo fascista ai danni di militanti e istituzioni socialiste nel periodo compreso tra i primi mesi del 1919 e il giugno del 1921. Nel 1924 viene dato alle stampe il suo volume Un anno di dominazione fascista. Nello stesso anno, nonostante il ritiro del passaporto, Matteotti si reca a Londra. Qui incontra numerosi dirigenti del Partito laburista, delle Trade Unions e dell’Independent Labour Party e il 24 aprile, nel corso di una riunione del Tuc Congress allargata all’esecutivo del partito laburista, riferisce sulla situazione italiana e sulla minaccia del totalitarismo fascista.

Rientrato in Italia, il 30 maggio Matteotti interviene alla Camera: “Voi che oggi avete in mano il potere e la forza – dirà – voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di far osservare la legge da parte di tutti. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della nazione (…)”.

E ancora: “Se la libertà è data ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni”.

La proposta socialista di rinvio della convalida degli atti alla Giunta delle elezioni, messa ai voti, otterrà 57 sì e 42 astenuti su 384 presenti e votanti.

Sarà l’ultimo discorso pubblico di “Tempesta”, come veniva chiamato dai compagni di Partito per il carattere battagliero. Si racconta che a chi si congratulava con lui per il discorso Matteotti rispondesse sorridendo: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. Il 13 giugno Filippo Turati dà in Parlamento la notizia della sua scomparsa.

Nonostante le ricerche ininterrotte, il corpo sarà ritrovato per caso solo il 16 agosto nei pressi del comune di Riano dal cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza. Al delitto Matteotti seguiranno mesi di braccio di ferro, in cui il governo fascista sembra sul punto di capitolare, ma il 3 gennaio 1925, con un famoso discorso alla Camera, Mussolini assume in prima persona la responsabilità politica del fatto.

“Ma poi, o signori – dirà – quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento a oggi”.

“Signori – diceva del resto il duce nel novembre del 1922 – quello che io compio oggi, in questa Aula, è un atto di formale deferenza verso di voi e per il quale non vi chiedo nessun attestato di speciale riconoscenza (…) Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non ci abbandona dopo la vittoria. Con 300 mila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti a un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo. Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”.

“Portare ogni cura nell’adozione delle misure atte a garantire il mantenimento dell’ordine pubblico in qualunque circostanza – recitava un telegramma ai prefetti del gennaio 1925 : 1) chiusura di tutti i circoli e ritrovi sospetti dal punto di vista politico; 2) scioglimento di tutte le organizzazioni che sotto qualsiasi pretesto possano raccogliere elementi turbolenti o che comunque tendano a sovvertire i poteri dello Stato; 3) lo scioglimento di tutti i gruppi dell’Italia libera (associazione antifascista di ex-combattenti) vietandone sin da ora qualsiasi attività; 4) vigilanza dei comunisti e sovversivi che diano prova o sospetto di attività criminosa procedendo a retate degli elementi pericolosi e avvertendo che ogni tentativo di resistenza deve essere severamente represso con ogni mezzo; 5) rastrellamento di armi illegalmente detenute operando oculate frequenti perquisizioni; 6) vigilanza rigorosissima sugli esercizi pubblici”.

Sono del biennio 1925-26 le cosiddette “leggi fascistissime”, ovvero quei provvedimenti che porteranno alla progressiva sovrapposizione tra movimento fascista e Stato italiano, annullando – di fatto – qualsiasi forma di opposizione al regime.

Il presidente del Consiglio diventa capo del governo. Vengono sciolti i consigli comunali e provinciali (ai rappresentanti di nomina elettiva vengono sostituiti funzionari nominati direttamente dal governo, i podestà). Si consolida il controllo su stampa e mezzi d’informazione. Nasce il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Si ordina lo scioglimento di tutte le organizzazioni politiche e sindacali considerate sovversive. Viene reintrodotta la pena di morte. Si istituisce il confino per reati politici. È vietato lo sciopero. Gli oppositori vengono messi a tacere con ogni mezzo o costretti all’espatrio.

“Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”, sarebbe opportuno non dimenticarlo. Perché Mussolini è stato il capo di un’associazione a delinquere. Non “un bon politicien”. Perché Mussolini non ha fatto cose buone, chiariamolo ancora una volta, sperando sia quella definitiva.

In fondo repetita iuvant, vero presidente? Scegliete pure voi quale…