L'articolo che segue è tratto dal n.4/2020 di Idea Diffusa, il mensile a cura dell'Ufficio lavoro 4.0 della Cgil realizzato in collaborazione con CollettivaClicca qui per leggere tutti gli articoli di questo numero dedicato alle smart cities., le città intelligenti.

La digitalizzazione può semplificarci molto la vita, ma può anche renderla un inferno. Basti pensare a come possa essere strumento di controllo dei cittadini o di riproduzione delle discriminazioni. Tutto sta nell’uso che se ne fa. Analogamente i social media. “I social media danno diritto di parola a legioni d’imbecilli, che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”, diceva Umberto Eco. Eppure quello che Eco stigmatizzava come difetto è anche il pregio dei social media che, di fatto, hanno scardinato la tradizionale gerarchia del potere nella gestione e diffusione delle informazioni, complici gli smartphone, che hanno dotato qualunque cittadino della possibilità di registrare un filmato, una conversazione, di fermare un’immagine.  Sui social, oramai, ogni utente al di là di quale sia la sua preparazione, formazione, professione, ha diritto di parola. E di diffusione d’immagini e filmati.

Sarebbe sbiadita sotto le scartoffie e la burocrazia sorda insieme alle altre decine di episodi analoghi, la morte di George Floyd, ucciso da un agente di polizia a Minneapolis. Una scena ripresa dagli smartphone dei passanti, che hanno diffuso i video sui social, smentendo la versione fornita dalla polizia e filmandone l’agonia. Quanti episodi simili sono accaduti senza che alcuno osasse intervenire o poter fare altro che assistere in silenzio, perché nessuno avrebbe dato voce o spazio a quelle denunce?

Dai social, è partita nei giorni scorsi la condanna corale al quotidiano Il Mattino sulla tragedia dei gemellini uccisi dal padre e incredibilmente raccontata sotto il titolo ’ La tragedia dei padri separati’. In altri tempi, si sarebbe potuto chiedere l’intervento dell’Ordine dei giornalisti, si sarebbe inviata una lettera di protesta, ma tutti noi sappiamo che sono armi lente e soprattutto spuntate. L’ondata di critiche, montata su Twitter e poi su altri social, ha costretto il direttore a scusarsi pubblicamente. Una rete social può dare voce a chi voce non viene data, perché meno autorevole, potente o influente. Criteri conservatori che favoriscono la stagnazione delle idee e bloccano il ricambio generazionale. Non è un caso che le nuove generazioni cresciute a ‘pane e web’, non abbiano aspettato che fosse concessa loro parola, ma hanno iniziato a prendersela su Tik Tok, su Instagram, su Youtube, e siano quelle che stanno innescando quei cambiamenti che le generazioni precedenti non hanno saputo promuovere.

Esmeralda Rizzi, Ufficio politiche di genere Cgil, comunicatrice