Regione che vai, sanità che trovi. O quasi. Questo è uno dei principali problemi del nostro servizio sanitario nazionale, e la pandemia l'ha reso evidente. Nonostante i livelli essenziali di assistenza siano nazionali, la possibilità di ottenerli cambia secondo il territorio dove si risiede. Non è caso che anche in periodi normali la migrazione sanitaria dalle regioni del Sud a quelle del Nord sia frequentissima. Anzi, è bene ricordare che parte rilevante delle risorse con cui si implementano le casse di alcune regioni, a cominciare dalla Lombardia, è costituita da quanto Calabria, Campania, Sicilia - ad esempio - versano per i servizi sanitari ricevuti dai propri cittadini costretti a rivolgersi fuori regione per trovare risposte ai propri bisogni di salute. Ma l'articolo 32 della Costituzione afferma che il diritto alla salute deve essere assicurato a tutti i cittadini e le cittadine. Questo è uno dei primi problemi che richiama la segretaria nazionale della Cgil Rossana Dettori,

Il coronavirus, inoltre, ha mostrato i danni che un decennio di tagli al servizio sanitario nazionale ha causato: mancano all'appello, infatti, ben 37 miliardi. Sarà un caso, ma è esattamente quando spetterebbe all'Italia se si attivasse il Mes. Serve ricostruire la sanità di territorio e di prossimità, riorganizzare e rafforzare il sistema ospedaliero, garantire fin da subito che chi ha patologie diverse dal Covid possa trovare risposte al proprio bisogno di salute, a cominciare dall'abbattimento delle liste di attesa che in questi mesi, invece che ridursi, si sono allungate. Servono risorse e molte: i 9 miliardi previsti per la sanità dalla bozza del Piano per la rinascita e la resilienza, da realizzare con le risorse del Next Generation Eu, secondo la dirigente sindacale "sono davvero troppo pochi e ci vuole l'impegno di tutti affinché vengano aumentati".

Come troppi pochi continuano a essere gli operatori sanitari, medici, infermieri ed infermiere, professionisti della sanità, operatori e operatrici in appalto. Occorre un grande piano di assunzioni, la stabilizzazione dei precari- che sono tanti - e occorre prevedere che l'università si metta al servizio del bisogno di professionisti che questa pandemia ha manifestato. Il danno che il numero chiuso per le professioni sanitarie e le poche borse di specializzazione per i medici attivate ogni anno, sono sotto gli occhi di tutti. Molte regioni hanno dovuto far appello ai medici in pensione per cercare di fronteggiare il virus. Che il 2021 sia l'anno del rilancio del servizio sanitario nazionale.