I conti sono presto fatti. Nella Asl Napoli1, quella che copre praticamente tutta la città, sono attivi una settantina di “tracciatori”, quegli operatori che devono rintracciare i contatti di quanti risultano contagiati. Ebbene questi, al momento, superano gli 8000 e ciascuno di loro avrà una media di 7/8 persone da contattare. Risultato sono oltre 60mila gli uomini e le donne da individuare, quasi 10mila per ciascun tracciatore. Impresa impossibile ed ecco perché non si riesce a bloccare la progressione della pandemia. Vale a Napoli e vale nel resto della Regione. E probabilmente in dimensioni diverse vale in tutto il Paese, tant’è vero che proprio una settimana fa la Protezione Covile ha emanato un bando per reclutare 2000 addetti al contact tracing, 1500 medici e personale sanitario e 500 amministrativi. Risultato, hanno risposto in 49mila. Ora si tratterà di capire in quanto tempo saranno davvero operativi e in grado di arginare il numero di positivi asintomatici che vanno in giro senza sapere di essere potenzialmente contagiosi.

Ma ridurre le occasioni di contagio è indispensabile, il Ssr è davvero al limite dell’implosione e i rischi per chi il Covid non l’ha contratto ma sano non è aumentano. Ancora una volta i numeri spiegano: al 30 ottobre i nuovi positivi delle 24 ore superavano i 3100, portando a 52.071 gli attuali postiti, per fortuna solo in parte sintomatici. Sono ricoverati in terapia intensiva 164 persone e sono ancora liberi 224 letti. Quel che comincia a mancare sono i posti di degenza ordinaria Covid, ne sono già occupati 1297. E proprio la difficoltà a reperire dove ricoverare i pazienti è una delle ragioni del sovraccarico dei pronto soccorso e delle lunghe attese. Un paio di giorni fa il conducente di un’ambulanza ha raccontato di aver dovuto chiamare i carabinieri per far in modo che una donna positiva al Covid fosse assistita. Era già stata rifiutata dal pronto soccorso dell’Ospedale San Paolo, arrivati al Cardarelli si son sentiti dire che dovevano andarsene, la centrale del 118 ha dato indicazione agli operatori del mezzo di soccorso di non muoversi. Solo la chiamata ai carabinieri ha fatto sì che un operatore somministrasse la trasfusione in ambulanza alla signora, sottolineando che né al pronto soccorso stesso, né nel nosocomio c’era posto per lei. Il pronto soccorso del San Giovanni Bosco è chiuso cosi come quelli degli ospedali di Frattamaggiore e di Nola, e aumenta la preoccupazione degli abitanti di quei territori che in caso di emergenza non sanno a chi rivolgersi. La situazione è di vera emergenza e per questa ragione, proprio in queste ore, l'esercito sta allestendo una grande temda ospedale nel parcheggio dell'Ospedale Cardelli di Napoli, dice il direttore sanitario Giuseppe Longo all'Ansa: "La struttura serve per decomprimere il Pronto soccorso e tenere in osservazione i pazienti Covid con sintomi non gravi".

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Posti letto che mancano dicevamo, percorsi sporco pulito quasi inesistenti. A pagare le conseguenze di tutto questo, oltre ai lavoratori e alle lavoratrici che si trovano ad operare in condizioni davvero difficili e rischiose, al momento ne risultano contagiati più di 350, sono anche quanti hanno bisogno di cure per patologie diverse dal coronavirus. L’Ospedale Santobono si prende cura di bambini e bambine, nei piani regionali doveva essere Covid free proprio per continuare a curarli, invece così non è e al momento sono una decina i piccoli ricoverati colpiti dal coronavirus. Se al Pronto soccorso arriva un piccino positivo, una volta ricoverato, l’accesso alla struttura deve essere chiuso per poterla sanificare. Che succede dei bimbi in attesa? Attendono, sperando che vada tutto bene. Ma non sempre, è così. Per tre bambini ammalati ma non di Covid, aspettare è stato fatale, potevano essere salvati se curati tempestivamente ma così non è stato.

A rendere anche meno esigibile il diritto alla salute in Campania è arrivata, il 17 ottobre una Delibera del presidente De Luca che sospende ricoveri ordinari e attività ambulatoriale in tutta la regione. La situazione è talmente grave che i segretari generali della Fp Cgil Alfredo Garzi, quello della Cisl Lorenzo Medici e della Uil Fpl Vincenzo Martone hanno scritto al prefetto del capoluogo campano chiedendo di essere ricevuti urgentemente perchè: “Al momento in tutti gli ospedali dell’area metropolitana di Napoli si registrano scene di guerra: ospedali Covid con posti letto per degenza ordinaria e sub intensiva occupati e con sole le Unità Operative di Terapia Intensiva ancora recettive, posti occupati in tutti i Pronto soccorso e le Osservazioni Brevi degli ospedali non Covid intasati di ambulanze con pazienti sospetti e/o conclamati Covid e con pazienti giunti per patologie tempo dipendenti, i quali tutti restano spesso per ore sui mezzi di soccorso con il rischio concreto di eventi infausti prima di trovare un posto appropriato ed essere sottoposti a terapie adeguate.

L’attuale situazione, proseguono i segretari, potrebbe determinare un imminente collasso della assistenza con interruzione di pubblico servizio e conseguenze drammatiche sulla salute dei cittadini, nonché essere causa di eventuali proteste con possibili ricadute sulla tenuta dell’ordine pubblico”.

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La Regione cerca di correre ai ripari, in una dichiarazione all’Ansa il capo della direzione Salute di Palazzo Santa Lucia Antonio Postiglione: “Sono in corso contatti a livello nazionale per l’ipotesi di allestire ambulatori dell’esercito”. Ma Caserta i militari sono già arrivati e contribuiscono ad effettuare i tampone nei drive in. E oltre le strutture al collasso c’è l’emergenza personale, per affrontarla il presidente De Luca ha scritto al premier Conte chiedendo 600 medici e 800 infermieri, mentre il direttore della Asl Napoli1 ha rivolto un appello agli anestesisti in pensione: “Tornate in servizio, siamo pronti ad accogliervi nei reparti”

Alfredo Garzi, segretario generale della Fp Cgil regionale ricorda che “Ben prima dell’arrivo del coronavirus mancano 16mila operatori, dai medici ai tecnici, e sono anni che lo denunciamo. Siamo davvero preoccupati perché si sta procedendo a spostare personale dai reparti ordinari e dagli ambulatori che chiudono. Con quale preparazione specifica sulle procedure di sicurezza? I percorsi sporco pulito spesso non sono attivati e ora che è stato chiesto alle strutture private di mettere a disposizione 1000 posti letto il rischio per i lavoratori aumenta”. “La verità, ci dice ancora il dirigente sindacale, è che nei mesi estivi la Regione non ha fatto nulla per prepararsi alla prevedibile ondata autunnale. Basti pensare che in tutta la città di Napoli sono state attivate solo tre Usca, e la sanità di territorio è inesistente”. “Per queste ragioni, conclude Garzi, abbiamo convocato per martedì prossimo 3 novembre una manifestazione unitaria di fronte alla sede della Regione. Vogliamo essere ascoltati, il confronto è indispensabile per individuare le risposte che servono”.

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