Oggi, 12 aprile, le lavoratrici e i lavoratori del gruppo Stellantis attraverseranno Torino in corteo. Lo faranno insieme agli operai dell’indotto, dietro agli striscioni e alle bandiere dei sindacati metalmeccanici che hanno indetto il primo sciopero provinciale della storia al quale aderiscono tutte le sigle e il primo di Fim, Fiom e Uilm insieme dopo 15 anni.

Si marcerà per le strade del centro per chiedere ancora una volta il rilancio di un settore che sta scomparendo dall’agenda delle produzioni del Paese. L’automotive, mortificato da decenni di cassa integrazione, è rimasto soffocato dall’abbraccio diventato mortale di una ‘monocommittenza’ de facto di Stato che è andata dalla dittatura Fiat della famiglia Agnelli all’ultima svolta Stellantis, passando per la Fca di Marchionne, per finire ‘delocalizzata’ sulle linee produttive di mezzo mondo. Basta che fossero lontane dal Paese in cui era nata.

Il simbolo di questa parabola resta la fabbrica-città di Mirafiori, quello stabilimento che ha un nome quasi esotico per il settore e che non finisce mai. E quando ne percorri il perimetro in macchina su Corso Orbassano, piuttosto che su Corso Unione Sovietica o Corso Giovanni Agnelli, i capannoni scivolano nello specchietto retrovisore e così vuoti e silenziosi come sono da anni sembrano quasi fantasmi.

Oggi si marcerà per Mirafiori, certo, ma anche per tutte le fabbriche dell’indotto. Ne sono state chiuse 5 mila negli ultimi anni, tutte metalmeccaniche, tutte specializzate nella componentistica auto, tutte condannate dalla crisi della casa madre. Un patrimonio di saperi, di tradizione, di eccellenza, progetti, idee, disegni, sviluppi ed eredità familiari lunghi un secolo, svuotati da una siccità produttiva che li ha lasciati senza vita.

Oggi si marcerà anche per il destino di Torino, che da quasi vent’anni ormai fa i conti con un declino inarrestato, per provare a rianimare la città forse prima ancora che quel vecchio cuore stanco dentro alla fabbrica che non finisce mai.

Perché dove non arrivano le chiacchiere o le logiche del ragionamento, arrivano i numeri. “17 anni di cassa integrazione”, ci ricorda Edi Lazzi, segretario generale della Fiom cittadina.

Edi Lazzi

"Se li metti in fila fanno decine di migliaia di euro di salario persi. 5mila aziende dell’indotto chiuse, per citare solo l’indotto metalmeccanico. Migliaia di licenziamenti. Tutto precipita: i consumi, la ricchezza della città. I negozianti vanno in crisi, tutta Torino è andata in difficoltà perché ha perso il settore più grosso, ridimensionato del 90%”.

Impensabile immaginare altri anni di cassa integrazione. “Sarebbe un grave danno per la città – ci dice Gabriella Semeraro, segretaria generale della Camera del Lavoro Cgil Torino –. Una città che si sta impoverendo sempre più, perché lo sviluppo di altri settori, soprattutto turismo e servizi, è caratterizzato da lavoro discontinuo, precario e povero. Aumenta la povertà di tante famiglie in cui c’è un solo occupato. E l’impatto di questa crisi sui torinesi è devastante. Cresce la disillusione rispetto al proprio futuro, c’è un distacco sempre più netto delle persone dalla vita della propria città. I giovani se ne vanno, non soltanto la forza operaia, ma anche i tecnici e quelli altamente formati. Altro che la città universitaria immaginata pochi anni fa. Torino un tempo era la città del futuro delle persone, della valorizzazione del lavoro, la città dei diritti. Oggi sta diventando l’opposto, la città è sempre più povera, sempre più difficile esercitare quei diritti che pure sono garantiti dalla nostra Costituzione”.

Gabriella Semeraro

Un circolo vizioso in cui i salari calano, i giovani cercano altrove un futuro, la città invecchia, subisce le decisioni che portano altrove la produzione di auto e fa fatica a trovare un’alternativa. Un circolo vizioso che ha una data di scadenza. “Con i numeri attuali - ci spiega Edi Lazzi - sulla produzione di Mirafiori, tra 5 o 6 anni quella fabbrica non avrà più operai. Saranno tutti definitivamente in pensione. Per tutto questo oggi è una grande giornata di lotta, di visibilità delle lavoratrici e dei lavoratori, di proposta per rilanciare la città. E per rilanciarla ci vuole Mirafiori. Facendo tre cose: riportando la produzione di auto a 200mila, facendo le assunzioni, restituendo un ruolo preciso a tecnici e ingegneri, che ora sono scarichi di lavoro, preoccupatissimi, non gli si assegnano da troppo tempo nuovi progetti”.

Oggi si marcia perché il destino di Torino riesca ad affrancarsi da questo declino.