Il termine Ccnl sarà ufficialmente introdotto nella legislazione italiana durante il ventennio fascistacon la promulgazione della Carta del Lavoro del 21 aprile 1927 acquisendo però valore giuridico solo anni dopo, dal 1941 quando verrà inserito tra i principi generali dell’ordinamento giuridico, con valore non precettivo ma interpretativo delle leggi vigenti (nonostante non avesse valore di legge o di decreto - non essendo allora il Gran consiglio organo di Stato ma di Partito - il testo della carta sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 100 del 30 aprile 1927. Nel 1942 la Carta del Lavoro sarà inserita come premessa e prefazione del codice civile appena modificato).

La Carta del Lavoro del 1927

Recita l’articolo 3 della Carta: “L’organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato1 ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori per cui è costituito: di tutelarne, di fronte allo Stato e alle altre associazioni professionali, gli interessi, di stipulare contatti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli aderenti alla categoria, di imporre loro contributi ed esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico”.

Ribadisce l’art. 4: “Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà tra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione”.

Sancisce infine l’art. 11: “Le associazioni professionali hanno l’obbligo di regolare, mediante contratti collettivi, i rapporti di lavoro fra le categorie di datori di lavoro e di lavoratori che rappresentano. Il contratto collettivo di lavoro si stipula fra associazioni di primo grado, sotto la guida e il controllo delle organizzazioni centrali, salva la facoltà di sostituzione da parte dell’associazione di grado superiore, nei casi previsti dalla legge e dagli istituti. Ogni contratto collettivo di lavoro, sotto pena di nullità, deve contenere norme precise sui rapporti disciplinari, sul periodo di prova, sulla misura e sul pagamento della retribuzione, sull’orario di lavoro”.

Ritardi e mancanze

In realtà i contratti collettivi nazionali saranno quasi sempre stipulati con grande ritardo e le leggi di tutela sui posti di lavoro, specialmente nelle piccole e medie imprese rimarranno largamente disattese. 

Recitava nello specifico l’art. 11 del Regio decreto 29 marzo 1928, n. 1003, sulla disciplina nazionale della domanda e dell’offerta di lavoro: “È vietato ai datori di lavoro di assumere in servizio prestatori d’opera disoccupati non iscritti negli uffici di collocamento di cui all’art.1 del presente decreto. Ad essi è data facoltà di scelta, nell’ambito degli iscritti negli elenchi, con preferenza a coloro che appartengono al Partito nazionale fascista e ai sindacati fascisti. All’uopo hanno facoltà di prendere visione degli elenchi e dei documenti esistenti nell’ufficio che riguardino lo stato professionale di ciascun iscritto”.

“La serrata e lo sciopero sono vietati”, sanciva già l’art. 18 della Legge n. 563 del 1926, specificando l’articolo successivo: “I dipendenti dallo stato e da altri enti pubblici e i dipendenti da imprese esercenti un servizio pubblico o di pubblica necessità che, in numero di tre o più, previo concerto, abbandonano il lavoro o lo prestano in modo da turbarne la continuità o la regolarità, sono puniti con la reclusione da uno a sei mesi, e con l'interdizione dai pubblici uffici per sei mesi”.

“Quando la sospensione del lavoro da parte dei datori di lavoro o l’abbandono o la irregolare prestazione del lavoro da parte dei lavoratori abbiano luogo allo scopo di coartare la volontà o di influire sulle decisioni di un corpo o collegio dello stato, delle provincie o dei comuni, ovvero di un pubblico ufficiale - aggiungeva l’art. 22 - i capi, promotori ed organizzatori sono puniti con la reclusione da tre a sette anni, e con la interdizione perpetua dai pubblici uffici, e gli altri autori del fatto con la reclusione da uno a tre anni e con la interdizione temporanea dai pubblici uffici”.

I contratti collettivi, una conquista operaia

Quindi - sempre in tema di fake news - il fascismo ha creato i Ccnl?

Non mistifichiamo: i Ccnl siglati dal fascismo in un’Italia senza sindacati liberi a dirigere le trattative, senza diritto di sciopero e di serrata, non hanno nulla a che vedere con gli attuali contratti collettivi di lavoro. Rappresentano, semmai, un ulteriore strumento di controllo sul mondo del lavoro da parte di un regime che di fatto tenta di superare la cosiddetta ‘lotta di classe’ con la distruzione del sindacato libero. 



1 Dal 1922 al 1926 il fascismo porta a termine l’annientamento delle tradizionali organizzazioni sindacali, fino alla loro definitiva soppressione legale (con gli accordi di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925, Confindustria e sindacato fascista si riconosceranno reciprocamente quali unici rappresentanti di capitale e lavoro abolendo le Commissioni interne. La sanzione ufficiale di tale svolta arriverà con la legge n. 563 del 3 aprile 1926, che riconoscendo giuridicamente il solo sindacato fascista - l’unico a poter firmare i contratti collettivi nazionali di lavoro - istituirà una speciale Magistratura per la risoluzione delle controversie di lavoro cancellando il diritto di sciopero. La costruzione della ‘terza via’ del fascismo porterà alla Carta del lavoro nel 1927 e alla costituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni nel 1939.