Il 9 settembre del 1957 a San Donaci, in provincia di Brindisi, i contadini manifestano contro il calo del prezzo dell’uva. L’arresto di una donna da parte delle forze dell’ordine provoca la protesta di un gruppo di giovani alla quale la polizia risponde aprendo il fuoco. Tre giovani braccianti - Mario Calò, Luciano Valentini e Antonia Calignano - rimangono a terra uccisi, 103 saranno i contadini denunciati, 36 gli arrestati.

“Erano le dieci questa mattina quando siamo arrivati all’ingresso dell’ospedale Di Summa qui a Brindisi dove si trovavano e forse si trovano tutt’ora le salme di due dei tre uccisi di San Donaci - riportava Riccardo Longone, inviato de l’Unità - C’era tutt’intorno a noi un silenzio agghiacciante e rari passanti percorrevano frettolosamente la strada assolata. Poi quel silenzio è stato rotto all’improvviso da una nenia dolce e straziante ad un tempo. Sul marciapiede di fronte con lo sguardo fisso alle finestre dell’ospedale c’era una vecchia vestita di nero e di cui non c’eravamo accorti prima che, facendo lenti gesti con le mani, implorava, rivolgendosi a tutti e a nessuno, di poter riabbracciare per l’ultima volta almeno il cadavere del suo figliolo. Era la madre di Mario Calò”.

“I morti di San Donaci chiedono la verità”, scriveva su L’Europeo del 22 settembre Giorgio Bocca, mentre in Puglia accorrono Giuseppe Di Vittorio, Giorgio Napolitano, tra i giornalisti un giovane Sandro Curzi.

Così in un discorso tenuto il 20 settembre in seguito all’eccidio (uno degli ultimi prima della sua improvvisa morte) Di Vittorio stigmatizzava la questione: “Si è stabilito un principio di cui, almeno in questo dopoguerra, si è fatto banditore e realizzatore l’onorevole Scelba secondo il quale ogni assembramento che non si sciolga immediatamente deve essere disperso a bastonate, se non basta anche a fucilate e si è stabilito di fatto un principio secondo il quale gli elementi della polizia - funzionari o agenti - che si rendono responsabili di questi assassinii sono posti al di fuori e al di sopra della legge (…) il nostro è i paese con cui si verificano con maggior frequenza questi eccidi, eppure non ci risulta che ancora uno dei responsabili di questi massacri sia finito in galera (…)”.

“L’eccidio di San Donaci - scriveva Di Vittorio qualche giorno dopo - non ha nessuna giustificazione. Anche se i contadini avevano ostruito qualche strada, per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e del governo sulla drammaticità della loro situazione, ciò giustificherebbe forse la condanna a morte di tre cittadini, eseguita immediatamente, senza nessun processo?... Non si illuda il governo di poter risolvere la crisi di un settore fondamentale dell’agricoltura nazionale cercando di soffocare con la forza le legittime richieste di milioni di piccoli e medi viticultori”.

“Voi - diceva Palmiro Togliatti sette anni prima a Modena - chiedevate una cosa sola, il lavoro, che è la sostanza della vita di tutti gli uomini degni di questo nome. Una società che non sa dare lavoro a tutti coloro che la compongono è una società maledetta. E maledetti sono gli uomini che, fieri di avere nelle mani il potere, si assidono al vertice di questa società maledetta, e con la violenza delle armi, con l’assassinio e l’eccidio respingono la richiesta più umile che l’uomo possa avanzare; la richiesta di lavorare. È stato detto che questo stato di cose deve finire. È stato detto: basta!. Ripetiamo questo basta, tutti assieme, dando a esso la solennità e la forza che promanano da questa stessa nostra riunione. Ma dire basta, non è sufficiente, perché gli assassinii e gli eccidi si succedono come le note di una tragedia, in modo tale che non ha nessun precedente nel nostro paese, e che tutti riempie di orrore. Non è sufficiente dire basta, dobbiamo impegnarci a qualche cosa di più (…). Dobbiamo far uscire l’Italia da questa situazione dolorosa. Vogliamo che l’Italia diventi un Paese civile, dove sia sacra la vita dei lavoratori, dove sacro sia il diritto dei cittadini al lavoro, alla libertà, alla pace!”.

Lo vogliamo ancora oggi.