Un fulmine a ciel sereno. La mattina del primo giugno la città di Aosta si è svegliata con la notizia che il colosso taiwanese Walsin Lihwa Corporation aveva acquistato il 70 per cento della Cogne Acciai Speciali, di proprietà della famiglia Marzorati, che nel 1994 aveva rilevato la fabbrica siderurgica dall’Ilva.

“Noi lo abbiamo saputo dopo l’Ansa”, ci ha raccontato, non senza un po’ di sconcerto, Fabrizio Graziola, segretario della Fiom della Valle d’Aosta. Per i metalmeccanici della Cgil si è partiti con il piede sbagliato, insomma. Considerando che questo stabilimento è un simbolo per il territorio e per la città, un punto di riferimento e un volano per la crescita della regione fin dalla sua nascita, negli anni ’30 del Novecento.

“La Cogne ha 106 anni di storia, fa parte della società, della città di Aosta, e adesso è in mano a una multinazionale taiwanese. Il suo peso sugli equilibri occupazionali del territorio è immenso: siamo a 1070 dipendenti, poi ci sono le varie ditte interne, 6 o 7 società che lavorano costantemente dentro il perimetro dello stabilimento, con 150-200 dipendenti, dagli addetti alla mensa a quelli delle pulizie. È l’industria più grande della regione.

Quel giorno avevamo con l’azienda una riunione programmata per parlare della riorganizzazione, da remoto. Poco prima ci arriva il comunicato, la notizia esce sui giornali e i lavoratori sapevano già tutto da una mail. Di fronte a questi metodi noi della Fiom, insieme a Fim e Uilm, abbiamo deciso di non partecipare all’incontro. Al quale si è invece presentato il Savt Met, il sindacato autonomo valdostano. Il giorno dopo l’azienda ha incontrato i rappresentanti della Regione, nonostante noi avessimo chiesto di parlarle. Credo che non si possano affrontare passaggi di questa rilevanza sociale confrontandosi solo con la Regione. Il primo interlocutore dovrebbe essere il sindacato”.

“Una notizia inaspettata – continua il leader della Fiom valdostana –. È da tempo che la famiglia Marzorati cercava un partner per poter entrare in borsa – e i taiwanesi sono quotati in borsa –, ma tra il dire e il farlo, in questo modo, senza parlarci, ce ne passa di acqua sotto i ponti. Il giorno prima dell’annuncio noi sindacati e il capo del personale della Cogne eravamo tutti a un convegno di Confindustria e non ci è stato detto nulla”.

Metodo sbagliato, insomma. E il merito? “I punti essenziali sono due. Il primo: la famiglia Marzorati – nonostante questa cessione del 70 per cento – sostiene che lo scopo dei taiwanesi è quello di espandere il proprio mercato in Europa e che l’acquisto è stato dettato anche e soprattutto dalla questione dei dazi, ma che chi comanda resterà ad Aosta e che le regole resteranno quelle italiane. Ma se un gruppo taiwanese acquista il 70 per cento di uno stabilimento italiano, è proprio sicuro che le regole resteranno quelle italiane? Sono perplesso. Il secondo punto è nei contenuti dell’accordo che, a oggi, non conosciamo.

La Cogne fa circa 220 tipologie di acciai speciali di cui ha i brevetti. Serve settori importanti come l’automotive, il medicale, l’aerospace. Chi avrà la proprietà di questi brevetti da oggi in poi? Chi ne diventa il padrone? E se venissero, prendessero i brevetti e poi iniziassero a produrre in altri stabilimenti del gruppo, magari in Asia, dove il costo del lavoro è più basso? E poi, ancora, noi abbiamo una serie di buonissimi accordi costruiti nel tempo: dagli straordinari, al notturno, alle visite mediche, un integrativo degno di nota, insomma, che tra l’altro è scaduto e quindi deve essere rinnovato. Che fine faranno questi accordi e con chi tratteremo in futuro? Qualche settimana fa il premio di risultato era stato alzato dalla famiglia Marzorati con 250 euro di welfare, guarda caso a poche ore dalla notizia della cessione, ufficializzata tre giorni prima delle elezioni per il rinnovo delle rsu. Sono solo coincidenze?”.

Sullo sfondo di questa vicenda si staglia la storia recente dell’Ilva. Graziola pone domande cui adesso è impossibile dare risposta: “Perché mai qui dovrebbe succedere una cosa diversa da quella che è successa in questi anni a Taranto? Da qui a tre anni che cosa ne sarà della Cogne? E di tutti gli accordi stretti nel tempo anche con la Regione, proprietaria di gran parte dei capannoni e dei terreni? E degli accordi sulle acque, sull’energia elettrica?”.

Nelle ultime ore i sindacati hanno incontrato la Regione, reduce da un confronto con i rappresentanti della multinazionale taiwanese, che hanno dato rassicurazioni, hanno dichiarato che manterranno la sede legale e fiscale ad Aosta, non faranno tagli al personale e alla produzione, anzi vogliono aumentare i volumi. E i sindacati? “Noi – ci ha detto il segretario della Fiom – abbiamo sottolineato che, per adesso, sono solo parole, di scritto non c’è niente. Personalmente ho ribadito che siamo partiti male, che non accettiamo questo modus operandi, che una vendita decisiva per il futuro del territorio non posso venirla a sapere leggendo i giornali. Che mi sembra difficile credere che chi resta con il 30 per cento deciderà come va avanti l’azienda. La politica mi è sembrata troppo morbida, non può liquidare la vicenda come ‘una vendita tra privati’, ci sono accordi e proprietà in ballo dei quali le istituzioni devono rendere conto ai cittadini”.

È ancora tutto da decifrare ciò che succederà. Il prossimo 16 giugno Fim, Fiom e Uilm incontreranno l’azienda. Intanto la Fiom conferma quattro delegati e un rls all’ultimo voto. Un risultato importante all’inizio di questo guado e dopo quasi tre anni di pandemia.