Sta per compiere 30 anni la legge che ha messo al bando l’amianto in Italia, la 257/92. Eppure il dramma delle morti e delle malattie provocate dall’esposizione a questo minerale è ancora in corso. E chissà per quanti anni. Per responsabilità di scelte miopi, di rimandi continui, del fatto che il problema non è mai stato affrontato come si sarebbe dovuto. Sono ancora 24 milioni, secondo le stime più attendibili, le tonnellate di amianto presenti sul nostro territorio. L’elenco dei siti dove, senza neanche saperlo, potremmo imbatterci nella fibra killer è lunghissimo. A ricordarcelo è la Fillea Cgil, la federazione che rappresenta i lavoratori edili, quelli che attualmente sono più esposti al pericolo perché degli oltre 3 mila differenti manufatti in cui si stima che sia stato utilizzato l’amianto, oltre 2 mila sono destinati all’uso in edilizia. Rivestimenti, soffitti, pareti, travi, colonne amianto spruzzato, serbatoi, canali pluviali, tubazioni in cemento amianto, isolamenti caldaie e tubazioni, guarnizioni a corda e piatte, pannelli isolanti termici, ignifughi e fonoassorbenti, pavimenti in vinile, tetti, tettoie, canne fumarie, camini, cisterne d’acqua, isolanti cavi elettrici, tubature impianti idrici e fognari, intonaci interni ed esterni, pavimenti in mattonelle e piastrelle. Vale la pena riportarlo per intero questo avviso stampato a chiare lettere su materiale informativo distribuito dalla Fillea agli operai, solo per capire quanti pericoli si celano dietro a ogni singolo lavoro di ristrutturazione, dentro ai grandi cantieri come dentro al singolo appartamento, quando si affronta la demolizione di un edificio intero o persino di una singola parete. Il pericolo di esporre i polmoni all’inalazione di queste microfibre non lo corrono soltanto i lavoratori, che pure sono in prima linea, ma spesso anche il singolo cittadino.

“Tonnellate e tonnellate di amianto friabile sono presenti in numerosi siti contaminati, di tipo industriale e non, tanto pubblici quanto privati – ci spiega Ermira Behri, segretaria nazionale della Fillea Cgil con delega alla salute e alla sicurezza –. Basti pensare che sono circa 83 mila i chilometri di condotte per acquedotti e, in misura minore, di gasdotti, presenti nel nostro paese. Edificati decine di anni fa, esposti all’erosione degli agenti atmosferici e del tempo, che si sbriciolano lentamente rilasciando nell’aria una polvere che potrebbe essere fatale. Nei palazzi, nelle case, nei capannoni costruiti prima degli anni '90, nelle tettoie, nelle canne fumarie, nell’aria condizionata, nelle tubazioni dell’acqua, molti sono ancora i manufatti che contengono la fibra killer”.

Per questo da tre decenni, da quando la normativa ha riconosciuto il pericolo che si cela dietro all’utilizzo di questo materiale, il primo obiettivo delle battaglie a cui il sindacato ha partecipato attivamente è quello della bonifica. Individuare e smaltire correttamente e in sicurezza l’amianto presente sul territorio è l’unica strategia che potrebbe mettere al riparo da ogni rischio le generazioni future. “Eppure – ci racconta Ermira Behri con amarezza – il processo di bonifica procede con estrema lentezza, a un ritmo dell’1% l’anno. Di questo passo si presume che ci vorranno 60 o 70 anni per eliminare solo l’amianto visibile. La verità è che la legge 257 del 1992, pur essendo una delle prime e delle più all’avanguardia, si limitava a vietare l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e l’utilizzo di amianto, ma non imponeva l’obbligo di dismissione”.

La situazione è molto complessa. I passi avanti sono pochi. La strategia che il sindacato degli edili sta mettendo in campo, nello specifico, si muove su tre gambe: informazione, formazione e sensibilizzazione. Rivolta anche ai datori di lavoro, visto che la media dei dipendenti nelle imprese edili, è di 1,6 persone per azienda. Una battaglia condivisa e rilanciata in Europa, dove un recente parere del Cese, il Comitato economico e sociale europeo, conferma quanto chiesto dalle organizzazioni di rappresentanza in Italia.  

“Da anni la Fillea fa volantinaggio nei cantieri per spiegare agli addetti il pericolo. Distribuiamo volantini, tradotti in 5 lingue, vista l’alta percentuale di stranieri presente nel settore”. Solo così i lavoratori e, di riflesso, anche i cittadini, potranno porre la giusta attenzione al tema e il sindacato potrà aiutarli concretamente. Soprattutto in questo momento in cui l’investimento fatto su misure come il Superbonus 110 potrebbe rappresentare, per molti condomini, l’occasione di fare grandi lavori di manutenzione e ristrutturazione con tutti i rischi connessi. “Le opere di bonifica dell’amianto nelle ristrutturazioni edilizie, sia singole unità che condomini, attualmente sono coperte dallo Stato al 50% in 10 anni. Siamo molto indietro – ammette Ermira Behri – rispetto a strumenti di promozione adottati da altri stati europei come la Polonia, in cui lo Stato rifonde il 100% delle spese. C’è adesso la possibilità di eliminare dell’amianto nel corso di lavori di efficientamento energetico, sui quali è disponibile il superbonus al 110%. Ad esempio rifacendo un tetto per la posa di pannelli fotovoltaici, o rifacendo il cappotto di un edificio per migliorarne la coibentazione, può portare alla bonifica di parti in amianto. Ma sicuramente è un'occasione persa e lo Stato dovrebbe fare di più”.

Proprio in questo tipo di lavori si annida il rischio concreto per gli addetti. A spiegarcelo è Anna Lorena Fantini, rappresentante dei lavoratori sicurezza territoriale a Roma, Viterbo e provincia. “Le bonifiche sono ancora molto costose e scontano una crisi di leggi e di burocrazia. Ricomprendere nell’incentivo del Superbonus 110 anche lo smaltimento dell’amianto sarebbe un bel colpo. Del resto, attualmente in Italia sono 20 mila gli edili specializzati e formati per bonificare amianto. Questo numero andrebbe raddoppiato, perché accelerare questo lavoro può ridurre rischi mortali e pericolose patologie a livello polmonare. Nei cantieri – ci spiega Anna Lorena Fantini che ogni giorno si misura con il rischio amianto osservando la vita degli operai edili – ora le operazioni connesse con le grandi ristrutturazioni del Superbonus riguardano soprattutto edifici antecedenti agli anni ‘60, dove spesso la presenza di amianto è occulta all’interno delle costruzioni. Il rapporto tra il settore degli edili e il cosiddetto amianto celato è strettissimo.  Pensate soltanto ai territori terremotati, dove interi paesi edificati a metà dello scorso secolo sono crollati rilasciando ogni tipo di polvere nell’aria. Pensate agli operai che intervengono su riparazioni idriche, sul tetto, sulle canne fumarie. Nella maggior parte delle ristrutturazioni i lavoratori del settore si ritrovano a contatto con manufatti in amianto, spesso sfaldati. Quasi sempre senza neanche averne consapevolezza. La mascherina che utilizziamo tutti i giorni per il Covid non è un dpi adatto, ce ne vorrebbe una specifica. Per questo sono convinta che la strada da percorrere per abbattere i rischi sarebbe quella di effettuare verifiche prima di eseguire lavori edili, almeno dove c’è un minimo di sospetto. Per esempio, nel dvr, il documento di valutazione dei rischi, e nel pos, il piano operativo di sicurezza, spessissimo l’amianto non è neanche citato. O, per fare un altro esempio, anche il libretto del fabbricato dovrebbe riportare il rischio”.

“Ora che riprende l’edilizia grazie agli incentivi del 110 per cento e al bonus ristrutturazioni – ci ha detto Anna Lorena Fantini – sentiamo ovunque rumori di ristrutturazione. Dobbiamo ricordarci che dietro a questi rumori ci può sempre essere un lavoratore esposto all’amianto. Informare e formare questi lavoratori e le imprese è la cosa più importante ed efficace che possiamo fare”.

La lotta contro l’amianto continua. I sindacati non gettano certo la spugna. E ci ricordano che purtroppo il mesotelioma, la forma di malattia polmonare di cui si ammalano gli esposti e che non dà scampo in poco tempo, ha un lunghissimo periodo di latenza, che può arrivare anche fino a 40 anni. Per questo l’amianto continuerà a uccidere e l’unico modo per fermarlo resta quello di bonificare i siti in cui è ancora presente e proteggere i lavoratori.