L’acciaio del futuro sarà prodotto con l’idrogeno. Un futuro né ipotetico né così lontano, visto che alcune “tecnologie di transizione” sono già utilizzate in Europa. “L’orizzonte è di dieci, al massimo quindici anni”, spiega Fausto Durante, coordinatore della Consulta delle politiche industriali della Cgil nazionale: “In questo lasso di tempo l’idrogeno potrà gradualmente sostituire il carbone nella riduzione e nel trattamento dei materiali ferrosi che, appunto, servono per produrre l’acciaio”. Una scelta sostenibile, green, che risolverà una volta per tutte l’eterno contenzioso tra siderurgia, salute e ambiente.

Una scelta, però, molto costosa. “Per far diventare a emissioni zero – riprende Durante – i circa 100 milioni di tonnellate di acciaio che ogni anno vengono prodotti in Europa con gli altiforni tradizionali, si stima che occorreranno non meno di 100 miliardi di euro”. Da qui la proposta della Cgil: il Piano nazionale per l’acciaio, che il governo aveva promesso ai cosiddetti “Stati generali” dello scorso giugno, sia varato e “inserito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, trovando dunque una collocazione adeguata tra gli obiettivi e le missioni dello strumento con cui il nostro Paese gestirà le risorse comunitarie di Next Generation Eu”.

Di tutto questo si parla oggi (mercoledì 3 febbraio) nel seminario online “Un piano nazionale per l’acciaio. Dove va la siderurgia italiana”: l’appuntamento è sulla piattaforma Futuralab alle ore 9.30. L’introduzione è affidata a Fausto Durante, il coordinamento della discussione al segretario confederale Cgil Emilio Miceli. Partecipano il presidente di Federacciai Alessandro Banzato, il delegato Commissione consultiva Trasformazioni industriali del Cese Enrico Gibellieri, il capo Relazioni con l’industria del Centro sviluppo materiali Pietro Gimondo, la rappresentante dell’Area Politiche industriali della Cgil Silvia Spera, la sottosegretaria al ministero dello Sviluppo economico Alessandra Todde e il segretario nazionale Fiom Cgil Gianni Venturi. Conclude il segretario generale della Cgil Maurizio Landini.

Partiamo dall’inizio, cioè da una constatazione: l’Italia è il settimo Paese più industrializzato al mondo, e per esserlo non può non basarsi su una forte, moderna e competitiva industria siderurgica. L’acciaio è componente e materia prima essenziale per tanti prodotti della manifattura e per tanti settori produttivi: disporre di una nostra capacità di produzione nazionale, in grado di assicurare autonomia quantitativa e continuità nella fornitura, è un fattore decisivo per la competitività del sistema industriale. E poi c’è l’occupazione: la siderurgia italiana comprende oltre 70 mila lavoratori, di cui 31 mila nella siderurgia primaria (in impianti come quelli di Taranto, Terni, Piombino, Genova).

“L’Italia ha bisogno di un Piano nazionale per l’acciaio, vale a dire di un progetto industriale complessivo per un settore così importante per la nostra economia e la nostra industria”, argomenta il coordinatore della Consulta delle politiche industriali della Cgil nazionale: “Un Piano che definisca le misure necessarie per superare l’emergenza Covid-19, salvaguardi l’insieme della capacità produttiva dei diversi siti siderurgici nazionali, regoli le modalità dell’intervento di strutture e risorse pubbliche nelle compagini proprietarie delle aziende siderurgiche, quando ciò dovesse risultare utile”.

Del resto, già a metà del giugno scorso il governo aveva indicato nel documento divulgato a conclusione dei cosiddetti “Stati generali” come il Piano nazionale per l’acciaio fosse tra i propri obiettivi. Un’indicazione che in questi mesi diversi esponenti dell’esecutivo hanno confermato, ma che ancora non si è tradotta in parola scritta. Un impegno che la Cgil chiede al governo (quale che sia quello che verrà) di mantenere, per altro inserendo il Piano nei progetti finanziati con i contributi europei del Recovery fund.

“Due sono le sfide che si presentano oggi alla siderurgia: da un lato la decarbonizzazione e la trasformazione tecnologica verso l’acciaio pulito, dall’altro lato la digitalizzazione dell’attività industriale e del processo produttivo”, continua l’esponente sindacale. Sono due dei tre assi portanti del Piano di ripresa dell’Europa, ed entrambi rappresentano “il campo entro cui giocare la partita per una nuova fase della siderurgia italiana, una fase che dovrà essere ambientalmente sostenibile e tecnologicamente moderna e avanzata, in linea appunto con gli obiettivi decisi dall’Unione Europea”.

Una partita in cui l’Italia è già ben posizionata. Bisogna anzitutto sottolineare, infatti, che il nostro Paese produce l’81,8 per cento dei suoi 23 milioni di tonnellate di acciaio da forno elettrico, contro il 18,2 da convertitori tradizionali a ossigeno (ossia gli altiforni). “Questi ultimi – precisa Durante – rappresentano il ciclo integrale di produzione di acciaio, e sono notoriamente a impatto ambientale più pesante rispetto alle produzioni da forno elettrico. La nostra produzione, quindi, è già ben più sostenibile di quella degli altri paesi europei”.

Ed eccoci arrivati all’idrogeno, ossia quello che viene unanimemente considerato l’elemento su cui puntare per una siderurgia green e un acciaio pulito. “In Europa siamo alle prime applicazioni industriali dell’idrogeno per la produzione di acciaio, lo stanno facendo in Germania sia ArcelorMittal sia Salzgitter”, dice l’esponente sindacale, evidenziando che uno dei suoi grandi pregi “è la compatibilità con gli impianti tradizionali esistenti, in quanto è possibile sostituire gradualmente la produzione tradizionale con quella a idrogeno senza interrompere il ciclo produttivo”.

Il punto di caduta, come si diceva all’inizio, sono i tempi (certo, non brevi) e gli alti costi necessari alla trasformazione dell’apparato siderurgico italiano e continentale. “Avremo bisogno – conclude il coordinatore della Consulta delle politiche industriali della Cgil nazionale – sia di ridefinire con l’Europa le regole commerciali e i fondamenti della competizione del settore, quindi anche agendo su tariffe, dazi e concorrenza sleale, sia di intervenire su un punto cruciale per le imprese, ossia sulla continuità delle forniture di energia elettrica a prezzi competitivi. Serve il deciso impegno delle istituzioni nazionali a finanziare la trasformazione ecologica della siderurgia, chiediamo al governo di mantenere l’impegno preso e di mettere nero su bianco il Piano nazionale dell’acciaio”.