Un export in continuo aumento (nel 2019 ha sfiorato i due miliardi di euro), una composizione settoriale che vede la crescita dell’automotive, un trend positivo nell’ultimo decennio, anche se nel complesso un comparto ancora sottostimato rispetto ai valori nazionali. Questo l’identikit dell’industria metalmeccanica in Puglia, segnata però anche da crisi aziendali e dalla necessità di investimenti, soprattutto sul terreno delle transizioni digitale ed energetica, allo scopo di rendere il territorio più attrattivo. Cgil e Fiom ne hanno tracciato oggi (martedì 28 luglio) un quadro d’insieme, con uno specifico seminario a Bari (con la presenza della segretaria generale Fiom Cgil Francesca Re David), riflettendo sulle strategie da mettere in campo per fronteggiare la crisi e innestare processi di sviluppo che sostengano l’occupazione.

Basta soldi a pioggia: fare sistema e governare i processi
A mettere a fuoco il contesto regionale ci ha pensato il professor Michele Capriati, docente di Politica economica dell’Università di Bari, che ha illustrato le dinamiche del settore, almeno fino allo tsunami Covid. “Il metalmeccanico pesa per il 38% del manifatturiero pugliese e per il 4% sull’economia regionale, a fronte del 10% del dato medio nazionale. Quindi ci sono margini e possibilità di espansione”. In Puglia “negli anni si è ridotto il peso della siderurgia ed è cresciuto quello dei mezzi di traporto, comparti caratterizzati da imprese non locali. Non meno importante quello meccanico che, invece, parla prevalentemente di imprese della regione, che fanno struttura produttiva”.

Nell’esportazione “c’è un effetto di sostituzione tra quello che rappresentava l’Ilva in termini di valore, che cala, e quello del settore dei mezzi di trasporto, che cresce”. Nel 2019 soprattutto la componentistica ha contribuito al valore degli scambi con l’estero. I processi di globalizzazione stanno cambiando, prosegue Capriati, ci saranno “maggiori produzioni di prossimità, sempre più contraddistinte da processi di digitalizzazione”. Quanto alla produttività, “servono condizioni di sistema: va sostenuta la domanda aggregata. In questa direzione vanno impegnate le risorse di cui si parla oggi. Solo così potremo sostenere la crescita, anche dei salari”.

Il mercato del lavoro, però, è segnato dalla frammentazione e dai bassi salari. “Il buon lavoro trascina l’innovazione, sostiene il sistema fiscale e i consumi, la crescita economica complessiva”, dice Capriati: “Lo dimostrano numerosi studi, ma qualcuno fa finta di non conoscerli”. Ultimo elemento necessario è un adeguato sistema della conoscenza, con risorse materiali e umane in grado di trascinare innovazione e produttività. “Ma stiamo indietro, dopo anni di politiche e investimenti ancora non si riesce a fare sistema di tutto questo”, conclude il docente di Politica economica: “Servono politiche industriali, creare ambienti favorevoli al cambiamento. Qui invece si ragiona esclusivamente di risorse e incentivi, ma vanno bene solo se incastonate in una strategia”.

Politiche industriali per fronteggiare la crisi e ripartire
“Negli ultimi sei mesi tutto ciò che era in essere è stato spazzato via dalla crisi legata alla pandemia. Oggi dobbiamo partire da questo nel fare i conti, un’aggravante che si somma a crisi pre-esistenti. Dire Ilva sarebbe facile, ma penso ad esempio alla Bosch di Bari”. Per Beppe Romano, segretario generale della Fiom Cgil Puglia, il lungo elenco delle crisi è “legato a scelte strategiche delle aziende o a mancate riconversioni, da Bosch a Getrag per l’automotive, così come nell’aerospazio per le scelte di Leonardo che presenta un grosso indotto di imprese locali, legate purtroppo a monocommittenza”.

Un comparto che vive dinamiche positive è quello informatico, in cui “siamo riusciti a recuperare anche dinamiche occupazionali importanti. Oggi abbiamo, soprattutto a Bari, sia imprese locali di sviluppo software sia multinazionali. Una vivacità che possiamo leggere anche con l’alto numero di laureati delle facoltà di ingegneria e informatica, almeno 500 l’anno, mentre il fabbisogno è di quattro volte tanto. La qualità del lavoro e dei diritti deve essere però esaminata, perché vi sia una crescita anche della buona occupazione”.

Un capitolo a parte merita la vertenza Ilva. “L’acciaio è un settore strategico, ma occorre rispondere ad alcune domande. Fino a che condizioni ambientali, sanitarie, industriali, è possibile produrre? E poi, chi deve produrlo? Le fasi della vicenda sono note: la gara, la multinazionale che subentra, gli impegni, la partita dello scudo penale, fino al nuovo accordo del 4 marzo con il governo per evitare la battaglia legale. Ma il sindacato e i lavoratori non sanno nulla di cosa hanno concordato. Così non può essere”.

Investire le risorse per sostenere l’innovazione
“Stiamo lavorando a una piattaforma, che presenteremo il 3 settembre a Bari con il segretario generale Maurizio Landini, confrontandoci con governo regionale e parti datoriali e sociali, proprio perché convinti che serva fare sistema, oltre che ragionare in termini di sistema” ha affermato il segretario generale della Cgil Puglia Pino Gesmundo: “In mancanza di visioni lunghe, di strategie complessive, si è cercato in questi anni di tamponare le crisi, forse anche utilizzando male le risorse, ma cercando di difendere il lavoro”. L’esponente sindacale ha evidenziato che “il post Covid può essere una opportunità: ci dicono che non c’è problema di risorse, allora è il momento della politica, di ragionare di asset strategici, di infrastrutture, di industria. Ma serve una governance aperta al confronto, luoghi dove queste politiche generali possano essere condivise, poi servono i progetti”.

Occorre investire su innovazione e qualità di prodotto “per evitare di spingere verso il basso le competizione, schiacciando diritti e salari”. Quanto alle risorse, è necessario “evitare che il Sud venga penalizzato, altrimenti aumenterà il gap e non si uscirà dalla crisi. Basta pensare ad automotive o Ilva, che sono vertenze nazionali. Serve mettere mano a insediamenti che non sono più produttivi, servono investimenti per la riconversione e la difesa dell’occupazione”. Una battuta, infine, sulla proposta della Cgil di una agenzia per lo sviluppo del Sud. “Può essere la cabina di regia per concentrare la spesa rispetto a obiettivi e interventi, evitando dispersioni”, conclude Gesmundo: “Parimenti devono fare la propria parte le grandi imprese a capitale pubblico. Solo così potremo uscire dalla crisi e provare a competere con quei mercati che tutto questo lo stanno già facendo”.

Rivendicare il nostro ruolo contrattuale
“Quando si parla di politiche industriali, o si parte dal Mezzogiorno o serve a poco”, ha esordito nelle conclusioni Francesca Re David. La segretaria generale della Fiom Cgil ha ricordato che “mentre noi ragioniamo di strategie per uscire dalla crisi, Confindustria chiede la riforma della cassa integrazione e la libertà di licenziamento. Il sindacato ha giocato un ruolo determinante nella fase di emergenza sanitaria, ma non possiamo essere indispensabili solo nei momenti di crisi. Il nostro lavoro è la contrattazione, vogliamo discutere anche di quali politiche industriali, dobbiamo conquistare questo ruolo se non ci viene riconosciuto”. Nella lunga stagione del mercato che si autoregola, “le ingiustizie sono aumentate e il settore metalmeccanico ha perso il 25 per cento di capacità produttiva. Forse non è così bravo ad autoregolarsi: serve un ruolo dello Stato, serve il ruolo del sindacato”.

Nell’automotive occorre guardare lontano, in prospettiva. “In Francia e in Germania hanno sviluppato strategie, politiche industriali importanti, piani straordinari, che mettono condizionalità alle imprese che prendono soldi”, prosegue Re David: “E in Italia? A breve non avremo più un’industria automobilistica, che ormai ha sede, testa e cuore altrove. A chi risponderà Fca dopo la fusione con Peugeot? Possiamo avere un tavolo per capire che ne sarà delle fabbriche in Italia? Tocca al governo prendere l’iniziativa”.

Allo stesso modo servono “una politica e scelte definitive per la siderurgia, sapendo quanto sono disposti a metterci in termini di risorse. Vale per le grandi imprese, ma anche per le piccole. Occorre capire come sostenere tutto questo con infrastrutture e reti, dialogando con i centri di ricerca e favorendo il dialogo tra questi e il mondo della manifattura”. La segretaria generale della Fiom, in conclusione, ricorda che il sindacato “deve rivendicare il proprio ruolo e deve farlo con forza, per sostenere i salari, salvaguardare l’occupazione, sostenere lo sviluppo del sistema produttivo. Se non saremo ascoltati servirà mobilitarsi”.