A Novi Ligure posano insieme le due facce del lavoro. La prima ha il sorriso dolce del cioccolato, dopo anni di grande amarezza. Perché la Pernigotti è salva: il nuovo piano industriale scongiura la chiusura dello storico stabilimento, prevedendo una riorganizzazione che riporterà nell’alessandrino investimenti, nuovi prodotti fabbricati in Italia e l’installazione di nuove linee di produzione, come ci spiega nella video dichiarazione il segretario della Flai Cgil provinciale, Raffaele Benedetto.

La seconda faccia è dura e fredda come l’acciaio dell’Ilva. Come la lotta senza quartiere che gli operai stanno combattendo in tutte le sedi per tenersi il posto e migliorare le condizioni. E proprio in questi minuti i rappresentanti sindacali sono impegnati in un incontro con la proprietà sulla nuova tranche di cassa integrazione per covid di quattro settimane.

Una parte della città, quasi 60 famiglie, oggi tira un sospiro di sollievo per un futuro che sembrava allontanarsi. Un’altra grande parte, 666 persone, continua a lavorare a singhiozzo e a battersi contro gli ultimi annunci di Arcelor Mittal: 3200 esuberi oltre ai 1700 in amministrazione straordinaria, che secondo l’accordo del settembre 2018 sarebbero stati riassunti entro 5 anni e oggi invece sembrano fuori. Numeri che colpirebbero Genova e Taranto, ma avrebbero un impatto anche sullo stabilimento novese, come ci spiega l’rsu Fiom Cgil, Federico Porrata. “Aspettiamo una risposta chiara e decisa da parte del governo. Perché il problema per noi rimangono gli esuberi e l’incertezza di queste settimane.

Ieri c’è stato un infortunio a Genova, un ragazzo rischia di perdere due dita. Ci sono difficoltà costanti su elementi fondamentali del lavoro, dal gasolio per i mezzi al servizio di lavanderia. Una situazione che va avanti da quando sono arrivati i franco indiani: non c’entra niente il covid, è una teoria al risparmio. Con l’ultima mobilitazione, otto giorni di picchetto, abbiamo incrementato il numero di persone che entrano al lavoro. Su 666 ora sono 323, prima della protesta erano 60, di cui 40 comandati, essenziali per la sopravvivenza dello stabilimento. Con l’incontro di oggi cercheremo di aumentare ulteriormente il numero degli operai al lavoro. Perché più che l’integrazione della cassa per arrivare al cento per cento dello stipendio, noi chiediamo che la gente possa lavorare. E qui ci sono alcune persone a casa dal 15 marzo”.

Sono i due volti della stessa città. Solidali, ma coscienti della differenza che separa le due storie. E forti della sicurezza che “le lotte dei lavoratori possono spostare gli equilibri”, come ci dice Federico Porrata. “La forza operaia può raggiungere qualsiasi risultato”. Parla di Pernigotti, ma si capisce che il pensiero e il messaggio è anche per i suoi compagni e i vertici dell’acciaieria.